Più socialista che nazionalista Ecco il “compagno” Hitler…
Niente di più facile oggi che sentirsi apostrofare «fascista»: basta uscire dal seminato mainstream. E persino «nazista», tanto ormai la differenza tra l’uno e l’altro sembra sparita agli occhi dei più.
Ecco, questa novella reductio ad Hitlerum, come la chiamava negli anni Cinquanta il grande filosofo conservatore Leo Strauss, è segnata, più che le passate, dall’ignoranza degli eventi storici: che non sono più ricordati, perché i contemporanei di quella stagione tendono a passare a miglior vita, ma non sono neppure studiati. Tutt’al più si è rimasti a qualche vecchio testo di storia, elaborato in altre stagioni e superato, mentre dei nuovi sono a conoscenza solo gli specialisti.
Proprio sul nazismo, anzi nazional-socialismo, circolano infatti una serie di leggende che la storiografia più aggiornata ha lasciato da un canto. Si sente per esempio spesso dire che Hitler era «nazionalista». E che il nazional-socialismo era un movimento politico di «destra». E infine che il progetto europeista sarebbe tutto l’opposto di quello nazional-socialista. Queste leggende sono sfatate da molti studi e buona ultima spicca la biografia di Hitler dello storico Brendan Simms (Hitler: Only the World Was Enough, Allen Lane editore). Egli non è solo un illustre cattedratico di Cambridge. Nel dibattito che ha diviso gli uomini di cultura tra remainers e leavers, Simms, per quanto irlandese, è stato uno dei più rilevanti nel secondo campo, tanto da scrivere una rigorosa storia del rapporto dell’Inghilterra con l’Europa che fa comprendere come l’isola non avrebbe mai potuto fare parte della Ue. La biografia di Hitler è probabilmente destinata a provocare altrettanto rumore, dato il suo forte impatto revisionistico e la sua intenzione di rimettere in discussione i luoghi comuni sulla figura del Fuhrer.
Il primo luogo comune è quello dell’ossessione di Hitler per gli ebrei e gli slavi. Certo, Simms non può negare la costanza dell’antisemitismo hitleriano ma, a mio avviso correttamente, lo colloca nella prospettiva giusta: quella dell’antisemitismo come anticapitalismo. L’Hitler di Simms era un sostenitore dell’antisemitismo biologico in quanto sociale; come attori del capitalismo, Hitler odia gli ebrei. Perché in realtà, ecco il secondo luogo comune sfatato, Hitler detesta i capitalisti e il capitale, si definisce e si sente «socialista», certo un socialista tedesco che combatte contro quello ebraico e internazionalista dei bolscevichi. Anche qui, l’ideologia anticapitalista di Hitler è più pragmatica rispetto a quella degli esponenti della «sinistra» nazional-socialista, che egli stroncò senza pietà. Ma solo perché, con un cinismo e un realismo non molto diverso da quello di Lenin e di Stalin, Hitler aveva capito che privandosi dell’alleanza con i capitalisti non sarebbe mai andato al potere.
Assieme agli ebrei e al capitalismo, Hitler odia anche il mondo anglosassone, l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Si tratta in questo caso di un odio misto a fascinazione. Hitler è disgustato dalla civiltà mercantile inglese e da quella consumistica americana, ma al tempo stesso ne è attratto: perché, come il fascismo italiano, anche il nazional-socialismo tedesco possedeva una doppia anima, nostalgica nei confronti dell’ordine pre-borghese e al tempo stesso modernista e modernizzatrice, affascinata dal macchinismo e dalla tecnica. Il progetto geopolitico di Hitler consisteva non nel controllo del mondo, ma nel voler diventare padrone dell’Europa come spazio vitale esteso fino alla Russia. Questo gigante economico e geografico avrebbe dovuto competere con l’egemonia anglo-americana nel mondo, alleandosi con il player asiatico, cioè il Giappone. Saremo maliziosi, ma Simms continua a costellare le sue pagine, soprattutto quelle dedicate alla guerra, di citazioni in cui Hitler sembra chiedere più Europa: del resto, sono noti i progetti nazional-socialisti di creare una moneta unica, un Euro-Marco, e di eliminare ogni tipo di barriera doganale e persino di frontiera tra i vari Stati che avrebbero costituito il nuovo Impero, il quarto Reich. Ecco perché è sbagliato definire Hitler un nazionalista: egli non ragionava infatti per partizioni statuali costituite da una o più etnie, ma si muoveva su uno spazio imperiale, un nuovo impero definito dal dominio etnico della razza ariana, con centro Berlino, e una precisa gerarchia di razze e di sotto-razze.
Ed ecco infine perché non è giusto definire Hitler di «destra» e ancor meno conservatore. Certo, i conservatori e la destra tedesca lo appoggiarono nella sua ascesa al potere, ma poi cercarono senza successo di frenarne l’influenza, fino al tentativo di assassinarlo, visto che il complotto della Rosa bianca scaturì da ambienti del militarismo e del nazionalismo tedesco. Facciano attenzione perciò gli odiatori di sinistra a spandere in lungo e in largo l’accusa di essere nazisti: leggendo l’Hitler di Brendan Simms, potrebbero trovarlo molto somigliante a loro stessi.
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