Ma il Fisco sa già tutto sugli italiani
Il mistero non è come si faccia a recuperare l’evasione fiscale in Italia. Il vero mistero è come sia possibile che l’Agenzia delle entrate non ci riesca, vista l’impressionante quantità di informazioni che possiede su beni, movimenti bancari, abitudini alimentari, singole spese anche minime degli italiani.
Eh, c’è però un problema di privacy che impedisce di sapere proprio tutto su di noi, sostiene il governo giallorosso, probabilmente per giustificare nuove invasioni del Fisco nei portafogli dei contribuenti o forse per mettere le mani avanti in vista di un nuovo flop nel recupero del «nero» rispetto alle fantasmagoriche stime inserite nel Documento di bilancio (8 miliardi nel prossimo biennio). Insomma è colpa della privacy se lo Stato non riesce a stanare gli evasori fiscali, non potendo ficcare troppo il naso nella vita degli italiani. Una tesi che non regge affatto, tanto che a bacchettare l’esecutivo è sceso in campo il presidente del Garante della privacy Antonello Soro: «É falso, l’Agenzia delle entrate da diversi anni raccoglie dati relativi a oltre 700 milioni di conti correnti e altri rapporti finanziari degli italiani, i dati relativi ai conti deposito, finanziamenti, obbligazioni fondi pensioni, persino acquisto e vendita di oro, mutui, locazioni, contributi Inps, erogazioni liberali, utenze varie…». Insomma gli italiani sono «profilati» dal Fisco attraverso una mole spaventosa di dati su quel che posseggono e su come spendono. Tutte queste informazioni vengono poi incrociate e setacciate da un algoritmo che va a caccia di scostamenti sospetti tra dichiarazione dei redditi e tenore di vita. Quel che non riesce a fare l’algoritmo, cioè verificare e analizzare, dovrebbero poi farlo gli uffici del Fisco, e qui nascono i problemi evidentemente. Non sulla quantità di informazioni in loro possesso, rispetto a cui l’Italia si piazza a livelli da regime di polizia fiscale. Dal 2011 infatti l’Agenzia delle entrate, per legge, può sapere su ognuno di noi più cose di quante ne sappiano in parenti stretti. Nelle tabelle sugli «elementi indicativi di capacità retributiva» che l’Agenzia delle entrate è autorizzata a utilizzare per il «redditometro» e valutare se siamo onesti o meno, c’è di tutto. Si va dalle spese alimentari (cibo, bevande), all’acquisto di vestiti, alle bollette elettriche, alle spese per «biancheria, detersivi, pentole, lavanderia, piante, fiori», spese veterinarie per gli animali domestici, spese per il parrucchiere e molte altre. Il Fisco sa quando ti tagli i capelli, se hai il gatto o il cane e quali pappe mangiano, se ti sposti in tram o in auto. Tutto. Ovviamente sa anche tutto su «700 milioni di conti correnti e altri rapporti finanziari degli italiani», tutte informazioni che le banche riversano all’Agenzia delle entrate per schedare i contribuenti. Poi ci sono tutti i dati che rientrano nella dichiarazione precompilata: spese sanitarie, per gli asili nido, spese funebri, spese di ristrutturazione, spese per cani e gatti, assicurazioni sottoscritte, mutui, contributi versati ad associazione varie. Insomma una schedatura gigantesca della popolazione. Ma che ancora non basta al governo, che infatti spinge per abolire il contante e monitorare così ogni transazione, anche il caffè al bar, e sapere finalmente tutto degli italiani. Quelli che non evadono soprattutto.
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