Il Molise è senza dottori. Per salvare gli ospedali arrivano i medici militari

Scende in campo l’esercito per evitare la chiusura di due ospedali in Molise dove mancano ortopedici, chirurghi, ginecologi e anestesisti.

Il paradosso? Il Molise è una delle regioni con il maggior numero di posti letto: più di sei ogni mille abitanti, una disponibilità doppia rispetto alla Lombardia. Peccato che in corsia manchino medici e infermieri. La crisi del servizio sanitario regionale ha radici lontane: anni di tagli; riduzioni di spesa blocco del turn over e del rinnovo dei contratti; mancata programmazione; numero chiuso e borse di specializzazione che non bastano mai. Un ginepraio di questioni irrisolte che hanno indotto migliaia di medici a scegliere l’estero per lavorare e ora stanno esplodendo tutte insieme in modo drammatico. E così il sistema per reggere si affida a rimedi «estremi».

In alcune regioni, il Veneto ad esempio, sono stati richiamati al lavoro a tempo indeterminato i medici in pensione con il risultato di trovare in corsia anche ottantenni. In altri casi si è deciso di ricorrere a medici stranieri mentre altre regioni come la Toscana hanno dato il via libera all’assunzione di neolaureati privi di specializzazione nei pronto soccorso. Infine l’ultima trovata: i medici militari.

L’idea di affidarsi alle forze armate è del commissario Angelo Giustini, ex generale della Finanza, ed ha già suscitato la reazione negativa del presidente del Molise, Donato Toma, che si dice «contrario a soluzioni non strutturali estemporanee». Al momento però Giustini non vede altra soluzione per evitare la chiusura dei reparti di ortopedia e traumatologia dell’Ospedale di Isernia e Termoli a causa della cronica mancanza di personale medico e infermieristico. Nell’ultima riunione di gabinetto al ministero della Difesa con il colonnello Antonello Arabia, spiega Giustini, è stato individuato «un elenco di 105 camici bianchi che operano nella sanità militare, che possono essere selezionati e impiegati in quella civile». I medici militari dovrebbero arrivare già da domani nelle strutture con i posti scoperti per scongiurare la chiusura. Dunque, precisa il commissario ad acta i miedici avranno i profili professionali necessari: «ortopedici innanzitutto, ne abbiamo chiesti almeno un paio per evitare di chiudere il reparto a Termoli dove ad oggi non c’è un’adeguata e sufficiente turnazione, e poi ginecologi, chirurghi, e anestesisti». Si tratta di una soluzione temporanea, assicura Giustini, in attesa che il Parlamento approvi il cosiddetto il decreto Calabria, fortemente voluto dal ministro della Salute, Giulia Grillo. Il provvedimento infatti prevede lo sblocco del turn over per le regioni commissariate.

Il decreto però deve essere ancora approvato dal Senato e potrebbe non avere vita facile visto che non ha il sostegno della Lega ed è stato già bocciato da tutte le forze di opposizione da Forza Italia al Pd.

L’idea di chiamare i medici militari viene bocciata dal sindacato degli ospedalieri, Anaao Assomed che parla di «soluzioni fantasiose e precarie». Anche il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, Federico Anelli la giudica una «soluzione tampone» che non risolverà la crisi di «un sistema che va ripensato a livello nazionale». Le prospettive non sono positive: la formazione di un medico è costosa e richiede anni dunque occorrerà tempo per invertire la tendenza e nei prossimi anni la carenza di medici è inevitabilmente destinata ad aumentare.

Tra poco scatterà il via libera alla pensione per la generazione del baby boom. E se ora in Italia mancano 16mila medici ospedalieri nell’arco di dieci anni saliranno a 80.000. Mancheranno soprattutto pediatri, anestesisti, già meno 4.000, e rianimatori.

il giornale.it

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