Giudici e pm in processione per farsi sistemare da Palamara

U ndici su diciassette. Dei diciassette magistrati che fino all’anno scorso facevano parte del Csm, decidendo le sorti della giustizia italiana, stabilendo promozioni e trasferimenti nelle alchimie di un mercato sotterraneo, ben undici si sono precipitati – appena finito il loro mandato – a chiedere ai successori un nuovo posto di prestigio, qua e là per il paese.

Quanti di questi undici avranno chiesto un aiuto a Luca Palamara, il potente pm romano, già presidente dell’Associazione nazionale magistrati, oggi indagato per corruzione per i modi da basso impero con cui gestiva il suo potere? «Faccio una ipotesi: tutti», dice una fonte che conosce come va questo mondo.

È questo il vero fronte che rischia di aprirsi quando i segreti del telefonino di Palamara diverranno di pubblico dominio. Perché nella rete di potere di cui Palamara era un tassello cruciale è coinvolto a trecentosessanta gradi il sistema che ha governato la magistratura in questi anni. A venire travolte dal sospetto se non dall’infamia, quando si alzerà il velo su questi segreti, saranno non solo le nomine degli anni scorsi ma anche quelle ancora aperte, il risiko che sta per disegnare gli equilibri dell’intera magistratura italiana. A venire investite dalla bufera saranno nomine e aspirazioni legittime quanto quelle impresentabili. Perché tutti, meritevoli o immeritevoli, bussavano alle porte di Palamara.

Il trojan della Guardia di finanza viene installato sul telefono del pm romano all’inizio di maggio. A venire ascoltate in diretta sono solo le trattative dell’ultimo periodo, quelle incentrate sulla scelta del nuovo procuratore di Roma. Ma lo smartphone di Palamara, a meno che non sia stato accuratamente ripulito, ha dentro di sé la memoria di anni in cui scelte cruciali per l’andamento della giustizia sono state gestite nel sottobosco del Csm. Il quadro che promette di uscirne è devastante.

Ieri la Procura di Perugia trasmette al Csm una nuova infornata di trascrizioni. Nel pomeriggio le ha potute leggere il vicepresidente David Ermini, che è andato al Quirinale, insieme allo staff del presidente Mattarella, in serata ne è stato fatto un riassunto agli altri consiglieri in vista del plenum di oggi. Solo nei prossimi giorni si capirà appieno quanto i pm perugini hanno ritenuto giusto disvelare di una inchiesta che è, per il terreno su cui scava, vulnerabile da condizionamenti e depistaggi. Svelare troppo può compromettere gli sviluppi.

Nell’attesa, a uscirne devastato è il Csm nel suo complesso, per due motivi. Il primo è la degenerazione dei rapporti con la politica. Le nomine sono state sempre politicamente orientate, ma fino all’altro ieri a portare la voce dei partiti nelle scelte provvedevano i consiglieri «laici» del Csm, eletti dal Parlamento anche (e soprattutto) per questo. Il rapporto c’era ma più mediato, meno brutale. Negli anni scorsi la mediazione salta. Palamara non tratta le nomine con Giuseppe Fanfani, il senatore messo in Csm da Matteo Renzi, ma direttamente con Luca Lotti, il palafreniere del leader. Salta il contesto istituzionale, restano solo le reti di interessi e di potere. Non è per questo, verrebbe da dire, che i padri costituenti diedero ai magistrati italiani il potere di governarsi da soli.

Il secondo motivo è che il Csm appare delegittimato dallo stesso meccanismo che lo ha eletto. Sabato si è dimesso Luigi Spina, il consigliere di Unicost indagato insieme a Palamara. Sulle mailing list e nella assemblea dell’Anm di Milano numerosi magistrati chiedono che seguano il suo esempio anche Antonio Lepre e Corrado Cartoni, che compaiono nelle intercettazioni. «C’è una questione morale», scrivono nella nota finale. Ebbene, sia Spina che Lepre sono pubblici ministeri, eletti al Consiglio in base alla spartizione preventiva tra le correnti: quattro candidati per quattro posti. Non ci sono candidati non eletti pronti a subentrare. Si dovrà tornare a votare. Ma in quale clima, con quali speranze di discontinuità, si terranno queste elezioni?

E a fare da sfondo a tutto c’è lo sfascio del sistema correntizio. Unicost, il correntone di centro che per decenni ha regnato alleandosi un po’ a destra e un po’ a sinistra come la vecchia Dc, è investito in pieno dallo scandalo. La sinistra di Area e di Magistratura democratica oggi è all’opposizione: ma evita di cavalcare lo scandalo, perché se si va a scavare sugli anni passati nessuno sa cosa può saltare fuori. E il grande rinnovatore-moralizzatore Piercamillo Davigo non può fare la voce grossa: perché nella votazione al centro dell’inchiesta, quella per la nomina del procuratore di Roma, ha votato nello stesso identico modo di Lepre. Probabilmente non si era neanche accorto di quanto gli accadeva sotto il naso, ma non è che questo vada del tutto a suo favore.

il giornale.it

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