I veri professori insegnano, non manipolano
La cosa più difficile da imparare è ragionare con la propria testa. È necessario il coraggio, l’autostima, la conoscenza.
Il coraggio, come spiegava Don Abbondio, o ce l’hai o nessuno te lo può dare; ma autostima e conoscenza si possono apprendere, e gli artefici di questo apprendimento arrivano dalla scuola e dalla famiglia. In questo caso, è più importante la scuola, sia perché è una realtà di socializzazione più complessa di quella che può provenire dalla famiglia, sia perché il suo ruolo essenziale è quello di insegnare, dunque di far conoscere e di sviluppare l’autostima di un giovane attraverso l’apprendimento, attraverso il sapere. Compito molto difficile, certo, ma gli insegnanti vengono pagati per svolgere questo compito.
Ciò che ha fatto l’insegnante palermitana, i cui alunni in una video hanno accostato le leggi razziali nazifasciste al decreto sicurezza del ministro dell’Interno Matteo Salvini, è drammatico e grottesco al tempo stesso.
Credo profondamente nella libertà di pensiero, quindi se l’insegnante in questione ritiene Salvini non diverso da Hitler, Mussolini, mettiamoci anche Stalin, padrona di pensarlo e di dirlo ma a casa sua, tra gli amici, al bar, anche in un dibattito televisivo. Cioè, libertà di pensiero: poi spetterà ai suoi interlocutori capire, se lo volessero, quali siano i fondamenti di quel pensiero. A scuola assolutamente no, il comportamento deve essere diverso: qui la propria idea politica deve rimanere dietro le modalità dell’insegnamento, perché il compito dell’insegnante è di far conoscere cercando lo sviluppo di una coscienza critica da parte del giovane.
L’insegnante palermitana, che Salvini si augura torni presto a scuola («giovedì sono a Palermo e vorrei incontrarla», ha detto) ha fatto questo? No, quindi è stata una pessima docente.
Tenere separato il proprio punto di vista dall’insegnare la storia, l’italiano è difficilissimo, ma un insegnante è tanto più bravo quanto più riesce a tenere distinte le due posizioni (come dovrebbe fare un magistrato). Drammatica e grottesca l’insegnante palermitana. Drammatica perché rovina la testa dei suoi studenti, quando dovrebbe proteggerla e aiutarla a svilupparsi nell’autonomia di giudizio: cosa del tutto trasgredita con un’ignorante illustrazione della realtà che non rispetta la storia. Capisco che nel mondo della politica, del dibattito televisivo le associazioni tra passato e presente, tra le vicende storiche di un tempo e la realtà presente possano con semplicistica comunicazione essere mistificate per provocare. Ma a scuola no; questo è il luogo deputato alla comprensione scientifica dei fatti, all’approfondimento del sapere: le banalità non devono trovare spazio tra le mura della scuola, diversamente non è una scuola, ma un bar, un talk televisivo, anche.
Poi, dicevo, grottesca: l’insegnante palermitana è una penosa figura grottesca. È la nostalgia del Sessantotto e dei successivi Anni di piombo, quando si era inventato «l’antifascismo militante». Nel suo nome, veniva picchiato o ammazzato chiunque non si schierasse per l’antifascismo militante, che di antifascismo non aveva nulla, ma era il pretesto per l’esercizio della violenza contro un nemico designato. Non è un caso che, chi si è schierato a favore della professoressa palermitana, evochi l’antifascismo militante: cinquant’anni fa tragico, rievocato oggi grottesco.
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