La forma in politica è sostanza. E se nessuno nel governo ci mette la faccia significa che la situazione è grave davvero. Nella sera del Def tribolatissimo (quasi un nulla di fatto), il solo esponente dell’esecutivo ad andare in tv è stato il ministro grillino delle Infrastrutture Danilo Toninelli, andato peraltro incontro alla solita figura di palta a DiMartedì su La7. Soprattutto, però, dopo il Consiglio dei Ministri che ha sfiorato la rissa non c’è stata nessuna conferenza stampa ufficiale, scelta decisamente irrituale per gli ultimi 20 anni di governi italiani, a conferma della criticità del momento. Quanto sono lontani, per Luigi Di Maio, i tempi eroici della assurda festa dal balcone di Palazzo Chigi per il reddito di cittadinanza. Ma anche sui social, poco o nulla perché non c’è motivo per festeggiare.
I conti traballano, il ministro dell’Economia
Giovanni Tria ha imposto a
Lega e
M5s di rivedere al ribasso le stime di crescita, accettando la previsione dello
0,2%, bella botta rispetto all’
1% profetizzato prima di Natale (non a caso, Di Maio e
Matteo Salvini volevano una via di mezzo a +0,6%). Non solo: ha stoppato la
flat tax, annunciando che in cambio della tassa piatta ci sarebbe l’
aumento dell’Iva (situazione complessa, perché questa versione grillina ignora il fatto che la clausola di salvaguardia sull’Iva è in realtà sul tavolo con o senza flat tax). L’approvazione dei decreti crescita e sblocca cantieri “salvo intesa” è ancora virtuale e dal pomeriggio, quando inizia il CdM, la situazione se possibile peggiora. Di fatto, Di Maio e Salvini prendono atto che “la richiesta di una
manovra correttiva da parte di Bruxelles è solo rimandata a dopo le elezioni europee”, spiega un retroscena del
Messaggero. Messo sospiro di sollievo elettorale, certo, ma un siluro sulla sopravvivenza del governo a cominciare dall’estate. E il fatto che sia stato proprio Tria, la chiave di volta di questo Def, a lasciare per primo il Consiglio dei ministri la dice lunga.