OCCORRE UNA COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SU NAPOLITANO E MONTI

di Paolo BECCHI e Giuseppe PALMA

All’apertura della nuova Legislatura sono avvenute due cose che hanno sorpreso molti. Da un lato Giorgio Napolitano in un discorso del tutto irrituale dallo scranno di Presidente (provvisorio) del Senato ha rivendicato il diritto delle forze anti-establishment che hanno vinto le elezioni a formare il nuovo governo, dall’altro Mario Monti in una trasmissione televisiva ha affermato di non condividere i governi tecnici preferendo quelli politici.

Che cosa ha spinto a queste prese di posizione? Noi crediamo che siano il segno di un timore, il timore che una eventuale intesa di governo tra Centro-destra e M5S abbia come conseguenza l’apertura di una commissione parlamentare d’inchiesta sui gravi fatti avvenuti dal 2011 al 2014, una lente di ingrandimento sui due personaggi che giocarono in quegli anni il ruolo di protagonisti: per l’appunto Napolitano e Monti.

Deve anzitutto essere chiarito il ruolo che l’ex Presidente della Repubblica ebbe nel condurre alle dimissioni l’ultimo esecutivo guidato da Berlusconi, nonostante non vi fosse stata alcuna crisi di governo, né parlamentare né extraparlamentare.

Ci sono testimonianze importantissime che potrebbero relazionare in merito a quei fatti. Pensiamo, ad esempio, all’ex Segretario al Tesoro della prima amministrazione Obama, Timothy Geithner, che nel suo libro “Stress Test” parla di “alti funzionari europei” che chiesero aiuto agli americani per far cadere il governo Berlusconi. Forse Geithner è a conoscenza di qualcos’altro. È probabile che gli “alti funzionari europei” si siano sbottonati con lui su chi fungesse da “garante interno” per quel progetto eversivo.

Ascoltare l’ex ministro del tesoro statunitense potrebbe essere molto utile. Così come potrebbero essere acquisiti i video integrali registrati dal giornalista Alan Friedman durante le interviste che fece qualche anno fa ai protagonisti dell’epoca: Prodi, Monti, D’Alema e De Benedetti, dai quali emerse che Napolitano – già in estate – aveva sondato un’eventuale disponibilità di Monti nel caso in cui la situazione sui mercati si fosse complicata. Fatto gravissimo visto che in estate – così come anche in autunno – Berlusconi godeva della fiducia di entrambe le Camere. Ma le responsabilità di Re Giorgio non finiscono qui.

Attraverso un’invenzione costituzionale contraria a qualsiasi prassi, dopo le elezioni del febbraio 2013 l’allora Capo dello Stato, nominò una specie di “consilium principis” (come se fosse un imperatore), cioè una commissione di “saggi” che doveva a lui relazionare su quali punti programmatici il nuovo governo avrebbe dovuto lavorare.

Una invenzione che fa a pugni sia con la Costituzione che con la prassi costituzionale. Una scelta che fece perdere del tempo prezioso a Bersani, il quale nel frattempo aveva ricevuto l’incarico esplorativo, nella ricerca di un accordo di governo col M5S. Eletto per la seconda volta al Colle, Napolitano ha nominato Presidente del Consiglio Enrico Letta con l’appoggio di centrosinistra e centrodestra, senza neppure consentire a Bersani di presentarsi in parlamento per il voto di fiducia e lasciando i 5Stelle fuori dal governo, che anche cinque anni fa era uscito dalle urne come il primo partito italiano. Ma allora Napolitano fece di tutto per bloccare il processo democratico, cosa che oggi – per paura – invita tutti a rispettare.

Il “grande vecchio” dovrebbe rispondere davanti alla commissione parlamentare anche per altri due fatti: il primo è la guerra in Libia del 2011, dove Berlusconi – nonostante la sua ferma opposizione – fu costretto ad aderire all’asse franco-americano capeggiato da Sarkozy proprio a seguito di una moral suasion dell’ex Capo dello Stato, la seconda è il mancato scioglimento delle Camere nel 2014 dopo la sentenza con cui la Corte costituzionale dichiarò l’incostituzionalità del porcellum.

Napolitano liquidò la questione dicendo che, stando alla sentenza della Corte, le Camere erano comunque legittime ed era necessario procedere con le riforme. Una falsità. La Consulta disse soltanto che le Camere sono organi indefettibili, ma che a fronte di quella pronuncia avrebbero potuto legiferare solo per gli atti urgenti e non rinviabili.

E invece Napolitano non solo non sciolse le Camere, ma diede alla Legislatura addirittura un impulso decisivo nominando Presidente del Consiglio dei ministri l’astro nascente del Pd Matteo Renzi, che ora critica duramente nascondendo che il rampollo di Rignano è stata una sua creazione politica.

Per quanto riguarda Mario Monti i fatti sono più circostanziati: alla festa estiva della Versiliana del settembre 2016 il ministro della giustizia Andrea Orlando (Pd) affermò che nel 2012, se il Parlamento non avesse votato l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione, la Bce avrebbe “chiuso i rubinetti”.

Affermazioni gravi che riguardano Monti: fu lui a firmare il famigerato Fiscal Compact (marzo 2012) che prevede zero spesa a deficit (cioè appunto il pareggio di bilancio), e fu sempre lui il Presidente del Consiglio quando il Parlamento approvò in seconda votazione l’introduzione in Costituzione proprio del vincolo del pareggio di bilancio (aprile 2012).

Quei due passaggi avvennero sotto il forte impulso di Monti, che del rigore e del pareggio di bilancio fece una vera e propria battaglia vestendo i panni del Sacerdote dell’euro. Come dimenticare l’alto livello del personaggio quando disse che lui era “il genero perfetto della suocera tedesca”.

Un altro fatto sul quale Monti deve rispondere è il tradimento del suo giuramento da Presidente del Consiglio dei ministri (adempiere alle funzioni “nell’interesse esclusivo della Nazione”). In un’intervista alla Cnn, Monti ammise infatti: “Stiamo effettivamente distruggendo la domanda interna attraverso il consolidamento fiscale”, che in parole semplici significa: stiamo di proposito impoverendo i cittadini italiani attraverso la morsa fiscale (la cosiddetta “cura da cavallo”).

Il tutto allo scopo di tornare ad essere competitivi (aumentare le esportazioni rispetto alle importazioni) in un regime di cambi fissi (l’euro), scaricando il peso di questa politica su cittadini e imprese, attraverso – appunto – la “distruzione della domanda interna”. Un fatto gravissimo che può configurare un’ipotesi di reato tra quelli rubricati nei delitti contro la personalità dello Stato.

Dopo che la commissione parlamentare avrà accertato i fatti sia con riferimento ai comportamenti di Napolitano che a quelli di Monti, spetterà alla Magistratura avviare le indagini per verificare se i fatti accertati dalla commissione parlamentare siano penalmente rilevanti. Ma al di là della Magistratura, vedere nelle aule parlamentari i principali protagonisti del disastro del Paese, interrogati e incalzati con domande scomode sui fatti accaduti in quei tre anni di sospensione della democrazia, sarebbe un atto di giustizia per quei milioni di italiani che hanno sofferto e pagato le conseguenze delle scellerate decisioni di Napolitano e Monti.

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