Capuozzo: «Mattarella nomini senatore a vita un esule istriano vittima dei comunisti di Tito»
Nominare senatore a vita un esule istriano vittima dell’epurazione etnica dei comunisti del maresciallo Tito. Una bella proposta per il presidente Mattarella, tutta da sottoscrivere. L’ha lanciata con il consueto coraggio Toni Capuozzo, giornalista e scrittore, durante un convegno su foibe ed esuli organizzato a Milano il Giorno del Ricordo. Un capitolo di storia che si intreccia nel profondo con la vita familiare del giornalista, mamma triestina e papà Pietro brigadiere di Pubblica Sicurezza, in servizio a Fiume e successivamente a Trieste.
Capuozzo, che valore avrebbe nominare senatore a vita un esule istriano?
Significherebbe passare dalle parole ai fatti e dare compiutezza alle parole con cui il Capo dello Stato ha riconosciuto una verità storica: quegli italiani furono massacrati perché italiani e non perché fascisti. E allora, se da un lato è stato istituito meritoriamente il Giorno del Ricordo ed è stato celebrato con tutta la dignità istituzionale che merita, ora è il momento dei fatti. L’unico modo per dare sostanza alle parole del Capo dello Stato è la nomina a senatore a vita di un esule istriano. A maggior ragione ora, visto che mai come quest’anno è cresciuta la richiesta di convegni revisionisti per non dire negazionisti. Lo dissi anche un anno fa in un intervento al Senato: se le istituzioni vogliono individuare una personalità tra gli esuli da nominare senatore a vita, che si affrettino, perché molti di loro non ci sono più e chi è rimasto non è più un ventenne…
Un atto che potrebbe rappresentare l’abbraccio delle nostre istituzioni con quegli italiani dimenticati. Ha avuto riscontri, risposte?
No. E neanche me le aspetto, per la verità…
Lei ha dichiarato che i nostri esuli non furono mai “profughi di professione” : cosa ha inteso dire?
I nostri connazionali sono stati cittadini italiani esemplari. Quando tornarono in Patria furono in molti casi accolti con ostilità, in tempi in cui l’accoglienza evidentemente non andava di moda. Portarono sulla propria pelle tutto il peso di un’Italia sconfitta. Pur “schiaffeggiati” dal loro Paese, amarono e amano l’Italia. Chiunque abbia parlato con loro può testimoniarlo. Ebbero un comportamento esemplare, non hanno mai chiesto nulla per loro stessi. In tempi in cui intorno al tema dei profughi si è costruito un clima e un business, i nostri connazionali hanno rappresentato la risposta più nobile: non sono mai stati profughi di professione. E hanno contribuito con i loro beni a far sì che l’Italia potesse risollevarsi dai debiti lasciati dalla guerra. Un esempio luminoso se rapportato all’accoglienza dei nostri giorni. E per nessuno di loro ho mai sentito parlare di diritto al ritorno in patria, come si è fatto e si continua a fare per tanti altri esiliati”.
La sua famiglia ha vissuto da vicino l’orrore…
Si, per me il tema delle foibe è sempre stato dirimente. Mia madre aveva conosciuto e poi sposato Pietro Capuozzo, brigadiere di Pubblica Sicurezza, in servizio a Fiume e successivamente a Trieste. Mio padre fu uno dei collaboratori di Giovanni Palatucci, l’ultimo questore di Fiume che si adoperò per mettere in salvo magliai di ebrei e che poi morì internato a Dachau. Molti colleghi di mio padre furono infoibati e molti altri morirono nei lager nazisti. Le presero da tutte le parti.
Se la sua proposta andasse in porto l’Anpi scatenerebbe l’inferno, lo sa?
Sì. Ormai, essendo venuti a mancare i vecchi partigiani, si tratta di un’associazione che annovera una generazione figlia di libri pieni di vuoti. Non sono degli interlocutori, in quanto non sono dei testimoni di storia ma delle “vestali della storia”.