Tagli ai parlamentari, arriva il primo sì
Il gonfalone a cinque punte si gonfia di cambiamento e, almeno per oggi, il governo gialloverde marcia compatto.
A Palazzo Madama è arrivato il primo sì al disegno di legge costituzionale che riduce il numero dei parlamentari da 945 a 600: 230 poltrone in meno alla Camera e 115 al Senato.
Non potranno essere più di cinque, inoltre, i senatori nominati dal capo dello Stato. Per ora ovviamente solo sulla carta e nei proclami dei vertici pentastellati che hanno fatto delle cesoie una bandiera. La road map per le riforme costituzionali prevede, infatti, un meccanismo di doppia lettura conforme: il disegno di legge rimbalzerà da un ramo all’altro del Parlamento per altre tre volte e potrebbe richiedere anche l’esame del referendum.
È Luigi Di Maio a rivendicare per primo, con un «evviva», la seconda sforbiciata di marca grillina (dopo quella ai vitalizi) della XVIII legislatura e un risparmio garantito «di mezzo miliardo di euro». Parla di «giornata storica» e di «prima pietra per un Parlamento più efficiente e meno costoso» anche il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro.
Sulla sua aggiornatissima pagina Facebook, l’altro vicepremier, Matteo Salvini, preferisce invece dare spazio a questioni che evidentemente gli stanno più a cuore del «Tagliapoltrone». È invece Roberto Calderoli, vice presidente del Senato, ad elogiare le virtù di «una piccola legge che produce risultati giganteschi in termini di efficacia» e che ha ricompattato le fila del centrodestra seppure con riserva. Forza Italia e Fratelli d’Italia, nonostante qualche defezione, l’hanno sostenuta ma l’approccio è cauto. Si tratta più che altro di «un’apertura di credito» alla maggioranza sul tema delle riforme.
Il vicepresidente del Senato, Ignazio La Russa, lo ha spiegato bene nel suo intervento in aula. Fratelli d’Italia, ha detto, «voterà a favore della riduzione del numero dei parlamentari» ma auspica un cambiamento che «parta dalle fondamenta» e che parli di «elezione diretta del capo dello Stato e della riforma della legge elettorale».
La sponda democratica, che con la Boschi-Renzi aveva provato a superare il bicameralismo paritario e a ridurre il numero dei senatori a cento, invece, è in subbuglio e parla di «attacco alla democrazia rappresentativa». «State attenti scrive su Twitter il capogruppo Pd al Senato Andrea Marcucci perché non riducono il numero dei parlamentari, ma cominciano a tagliare la democrazia». Per Dario Parrini, capogruppo del Pd in commissione Affari Costitzionali, si tratterebbe di «un disegno antiparlamentare» che non rimedia «al fatto che ci sono due camere che fanno le stesse cose e che siamo l’unico Paese al mondo in cui un ramo del Parlamento non usa il suffragio universale per essere eletto».
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