Il Papa ora va a trovare i Musulmani. Ecco cosa è andato a fare negli Emirati Arabi
Un interessante reportage sul viaggio di Papa Francesco negli Emirati Arabi.
Ma cosa è andato a farci?
Perché proprio dagli islamici?
Interessante capire il viaggio di Francesco.
Il Papa negli Emirati: dice che insieme si può andare contro radicalismo e terrorismo
Da sempre, giustamente, ci lamentiamo per la mancanza di affidabili e autorevoli interlocutori moderati nel campo musulmano. Ma…
Il viaggio del Papa negli Emirati Arabi è davvero importante? Piaccia o no, lo è, anche da un punto di vista geo-politico e di sicurezza: vediamo perché. Da sempre, giustamente, ci lamentiamo per la mancanza di affidabili e autorevoli interlocutori moderati nel campo musulmano, ma poi, quando qualcuno si presenta, c’è sempre chi arriccia il naso e cerca il pelo nell’uovo. Un atteggiamento del tutto controproducente perché gli sforzi riformistici vanno apprezzati e sostenuti, non criticati e abbattuti. Certo bisogna vagliarne la sincerità e la profondità e allora diamo una occhiata obiettiva e non stereotipata agli Emirati Arabi Uniti o UAE che dir si voglia.
Molti quando hanno sentito Papa Francesco affermare che gli Emirati tendono ad essere un esempio di tolleranza e coesistenza hanno alzato le sopracciglia, ma questa è la realtà, soprattutto se calata in quell’area del mondo. A fronte di tanti diritti concessi ai musulmani in Europa noi giustamente chiediamo reciprocità: c’è reciprocità negli Emirati? “Certo che no”, dicono alcuni, e troncano il discorso affermando: “Quando daranno il permesso di costruire una Chiesa ne riparliamo”. Beh, allora parliamone subito visto che le chiese ci sono da anni, sono tante e ad esse si aggiungono anche templi di altre religioni non musulmane. Leggendo la biografia del Cardinal Filoni, prefetto di Propaganda Fide da cui il Golfo dipende ho visto delle sue foto durante l’inaugurazione, nel 2013 su un terreno donato dall’emiro, della nuova grande chiesa di Ras Al Khaimah, una cittadina minore dove comunque i cattolici sono in crescita e la chiesa non riesce a contenerli: parabola inversa ad un’Europa che perde fede e fedeli.
Quindi – chiedono ancora i critici a tutti i costi- domani se vado lì posso costruirmi una chiesa dove voglio? No, chiesa o moschea devono avere una autorizzazione, così come deve essere certificato il percorso di chi predica, imam o prete, ed è vietato usare i luoghi di culto per fare propaganda politica e incitare all’odio verso le altre religioni. Brutale restrizione delle libertà? No, è esattamente quello che proponiamo noi per garantire la sicurezza e la convivenza. Funziona? Sì funziona e basta passare qualche giorno tra Dubai ed Abu Dhabi per vederlo e per sentirselo raccontare dalla gente, autoctona e straniera. Sì perché sui 10 milioni di abitanti solo un milioncino sono nativi, il resto viene da oltre 200 paesi del mondo e tra costoro i cristiani sono tanti, quasi quanto gli autoctoni. Un modello difficile da far funzionare facendo tutti contenti, però funziona visto che gli emiratini continuano ad essere gli incontrastati padroni di casa e i decisori di ogni politica, ma gli immigrati sono contenti perché sono rispettati e guadagnano cifre che permettono loro di mantenersi e mandare i soldi a casa in attesa per costruirsi un futuro al rientro, visto che le regole sulla immigrazione sono ferree e la immigrazione di intere famiglie miranti a stabilirsi in pianta stabile non è prevista, mentre è voluta l’immigrazione di lavoratori preparati che arrivano solo con contratto di lavoro e documenti in regola. E chi sgarra, paga.
Per questo funziona, come a Singapore, altro esempio di piccolo stato multietnico dove la certezza della pena garantisce la perfetta convivenza. Chi si immagina uno stato di polizia pero’ sbaglia: e’raro incrociare un soldato o un poliziotto. Ci sono quando serve, e tutti lo sanno. Tutto il contrario dell’Europa forte contro gli onesti e debole contro i prepotenti. Basti vedere il diverso approccio alla attività di contrasto al terrorismo. Secondo gli europei consiste nelle frontiere aperte, nel lasciar parlare a ruota libera i sedicenti imam e nel riportare a casa dalla Siria i terroristi per “reintegrarli nella società civile”. Tutto sbagliato secondo gli esperti emiratini che abbiamo di recente intervistato e che ci hanno messo in guardia dall’attività rampante di un islam politico portato avanti da associazioni che qui e in molti paesi arabi sono fuorilegge mentre da noi sono vezzeggiate e finanziate con soldi pubblici. A titolo esplicativo invito a cercare e leggere le polemiche della sinistra inglese che accusa gli UAE di troppa durezza nel contrasto degli estremisti, mentre gli emiratini esortano l’Inghilterra ad agire con più durezza su noti fanatici lì residenti. Fanatici che in questi giorni accusano e minacciano gli Emirati per aver invitato il Papa: secondo loro si tratta di una sottomissione ai crociati. Naturalmente è una stupidaggine così come è completamente alienato dalla realtà chi afferma che il viaggio e’un atto di sottomissione della Chiesa all’Islam.
Si tratta invece di incontrarsi in un punto mediano,di equilibrio, e gli Emirati lo sono e cercare di stabilizzare quanto piu’ possibile del mondo intorno. Gli UAE non sono solo il faro nel settore delle riforme, ma guidano anche un percorso di avvicinamento ad Israele che ha contagiato positivamente molti altri stati dell’area a cominciare dal Golfo, dove Bahrein, Oman e Arabia Saudita lanciano segnali di apertura. Allo stesso modo gli Emirati sono stati fondamentali per la pacificazione tra Eritrea ed Etiopia che sta stabilizzando tutto il Corno d’Africa e saranno essenziali per pacificare la Libia (e quindi chiudere il capitolo delle migrazioni di massa) e ricostruire la Siria dopo essere rientrati in sintonia col governo di Damasco. Sono partite enorme, di dimensione mondiale, e naturalmente i piccoli Emirati non possono farcela a sistemare tutto da soli, ma senza di loro e i loro vicini nulla sarà possibile. Anche a questo serve il viaggio del Papa: costruire una relazione, reciproca fiducia, sgombrare il campo da equivoci e stereotipi, parlarsi francamente: il paradiso in terra non esiste, ogni paese ha pregi e difetti (secondo me in UAE i pregi sono più dei difetti), cerchiamo di prendere il buono che c’è come punto di partenza per migliorare ancora. Un ultimo appunto su una questione sempre calda: le donne e il velo.
Turiste e residenti occidentali e asiatiche girano vestite esattamente come da noi, e lo stesso vale per le ragazze filippine, indiane e musulmane di altri paesi (Siria, Libano, Marocco etc) che magari non girano con i pantaloncini a filo interdentale ma usano gonne e jeans e non hanno il velo. Evidentemente non esiste alcun obbligo di legge. Le ragazze locali usano quasi tutte un velo che lascia totalmente scoperta la faccia e un ciuffo sulla fronte. A vederle nei centri commerciali, in gruppo, entrare da un negozio all’altro e nelle caffetterie non danno per niente l’aria di donne oppresse ma di persone con autonomia di movimento (guidano, studiano all’estero, viaggiano) e disponibilità finanziaria gestita in autonomia. Le solite femministe e gli ancor più petalosi femministi contestano e dicono: “Però non se ne vede nemmeno una spazzare per terra o fare la cameriera, evidentemente viene loro impedito”. Ho girato la domanda ad un paio di ragazze che mi hanno risposto che dopo aver preso una laurea all’estero ed avendo disponibilità economica non sognano né di spazzare né di servire al pub qualche australiano ubriaco. Sbagliano?
Voi cosa ne pensate?
Diteci la vostra!
Grazie.