Migranti, il ricatto delle ong
Chiamatelo “ricatto”, se volete. Di certo è una pressione politica cercata, voluta, calcolata. Le Ong conoscono le leggi del mare, comprendono le difficoltà degli Stati e della politica.
Sanno come sfruttare a loro vantaggio le sovrapposizioni tra le leggi internazionali e nazionali per imporre la propria visione del mondo. È quello che stanno facendo in queste settimane, portando migranti in Europa nonostante i divieti e le reiterate opposzioni degli Stati. Un “ricatto”, appunto, messo in atto quasi in silenzio e sfruttando le “falle” delle normative in tema di soccorso in mare.
Proviamo a capire di cosa si tratta, partendo dal principio.
Quasi tutte le Ong che operano nel Mediterraneo sono mosse da due intenti. Il primo è quello – prettamente umanitario – di salvare vite in mare. Uno slancio legittimo e in qualche modo condivisibile. Ma dietro si nasconde un secondo fine, quello che loro stesse giustificano col “radicalismo umanitario”: l’ideologico progetto (politico) di abbattere la “Fortezza Europa” e spingere così l’Ue a riconoscere il pieno diritto a migrare.
Nel migliore dei mondi possibili, le Ong vorrebbero recuperare i migranti e portarli in Europa. In passato potevano farlo: avvistavano un gommone, informavano Roma, effettuavano il recupero e traghettavano gli immigrati verso la Sicilia. Niente di più facile. Ma ora la musica è cambiata e sono state costrette a trovare degli espedienti.
Di cosa si tratta? Per capirlo, addentriamoci in una analisi di quanto successo nelle ultime due missioni Sar di Sea Watch, Ong tedesca che batte bandiera olandese.
A inizio gennaio, la nave umanitaria recupera 32 immigrati al largo della Libia. Dopo varie peripezie, né Roma, né La Valletta né l’Olanda rispondono alle richieste di indicare un porto sicuro di sbarco. E Sea Watch cosa fa? Si sposta nel tratto di mare tra Malta e Lampedusa, forte del fatto che nessuno può impedirle di navigare in acque internazionali. È un trucco già sperimentato, ma che funziona: con la nave a poche miglia e il mare mosso, infatti, l’Ong ottiene facilmente il via libera a riparare nelle acque maltesi. E il gioco è fatto.
La Valletta “non era l’autorità competente” per gli interventi di soccorso, dunque i migranti non sarebbero dovuti finire lì. Ma ormai il danno era fatto: con la Sea Watch 3 a pochi metri dal porto, come avrebbe potuto il premier Joseph Muscat impedirne l’approdo? Vi immaginate gli immigrati tenuti tra le onde per mesi e mesi? E infatti, dopo qualche giorno e serrate contrattazioni con gli Stati Ue, Malta viene costretta politicamente ad autorizzare lo sbarco.
Lo stesso si è ripetuto in questi giorni, ma con l’Italia. L’Ong ha recuperato i migranti a poche miglia dalla Libia e il siparietto si è ripetuto identico: richiesta di un porto sicuro, vari dinieghi e inviti a coinvolgere la Libia e la Tunisia. Sea Watch giura che né Tuinisi né Tripoli hanno risposto al telefono o alle mail, così alla fine il comandante ha deciso di far rotta verso l’Italia. Il motivo? Sempre le condizioni meteo e le sofferenze dei profughi. Secondo il ministero dell’Interno, l’Ong avrebbe “violato le regole”. Ma ormai con le onde alte e il tempo avverso non restava che autorizzare lo stazionamento al largo di Siracusa.
Anche in questo caso, l’espediente dell’Ong sembra aver funzionato. È improbabile che Salvini possa tenere 47 persone in mare a lungo. Già oggi si è detto disponibile a farli scendere a terra se Olanda o l’Ue se ne faranno carico. Non può mica tenerli lì per sempre. In questo modo l’Ong avrà raggiunto il suo scopo: far approdare i migranti in Europa, nonostante la legittima opposizione del Viminale.
Resta una domanda: ma è normale che associazioni private impattino così su un tema, come la gestione dei flussi migratori, di prioritaria competenza statale?
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