Il viceministro Massimo Garavaglia: “Lotta ai grandi evasori, sconti alle partite Iva”
In campagna elettorale la Lega ha schierato un tridente molto offensivo d’economisti: Armando Siri, il teorico e punta di diamante della flat tax, Alberto Bagnai, il pensatore regista della critica all’Europa, e Claudio Borghi, il centravanti di sfondamento contro l’euro e le banche che hanno truffato i risparmiatori. Quando però si è trattato di scegliere chi doveva affiancare Giovanni Tria, il tecnico che si ispira al liberismo conservatore di scuola anglosassone scelto per guidare il ministero dell’Economia, il Carroccio ha puntato su Massimo Garavaglia, cinquant’anni. «Non scriva però che mi sono alzato dalla panchina», precisa, «perché io ho un curriculum da titolare, fino al marzo scorso ero l’assessore al Bilancio della Lombardia. E poi sono in Parlamento dal 2006, sempre in Commissione bilancio, tesoro e programmazione».
Se un partito è «una squadra dove ciascuno ha il suo ruolo», il viceministro si assegna quello di «mediano, o meglio di libero». «C’è chi è di lotta e chi di governo», spiega. «Non mi aspettavo la nomina, ho parlato con Tria a quattr’occhi solo venerdì scorso, mi è sembrato molto concreto, l’uomo giusto per relazionarsi in Europa e definire un quadro coerente che concili rispetto delle regole e sviluppo». Anche se si assegna il ruolo di libero, Garavaglia sa dribblare meglio di un’ala destra e alla domanda se all’Economia avrebbe preferito lavorare con Savona taglia corto: «Savona non è più un caso, è diventato ministro lo stesso, e proprio ai rapporti con l’Europa. Significa che sulla sua nomina si è fatto un po’ troppo clamore».
Dopo Salvini, che dal Viminale continuerà a guidare partito e governo e Giorgetti, l’eminenza leghista alla vicepresidenza del Consiglio, il terzo uomo chiave del Carroccio per il governo è proprio lui, il Garavaglia da Marcallo con Casone, hinterland milanese a un passo dal Ticino, verso il Novarese. È qui che è iniziato tutto come sindaco, dal 1999 al 2009, passando attraverso il record di essere stato il più giovane senatore della storia della Repubblica, a 40 anni e 20 giorni, nel 2008. «E da qui tutto sempre riparte ogni fine settimana», scherza. «È sabato mattina e al solito sono reduce da una spesa all’Esselunga, come ogni buon milanese abbruttito. I supermercati sono un ottimo osservatorio per tenere d’occhio consumi e prezzi, consiglio ai miei colleghi di governo di non rinunciare a questa esperienza».
«Immaginavo che avrei guidato la Commissione Bilancio di Palazzo Madama; mi piace studiare le carte e pensare» prosegue. Invece è arrivata questa patata bollente dell’Economia. «Sono sommerso da problemi urgenti», sintetizza. «Un po’ di casino c’è, ma senza, io non mi diverto. Comunque i fondamentali economici sono buoni, serve solo far ripartire un po’ di fiducia, altrimenti i mercati possono crearci qualche problema: non me la prendo con gli investitori, fanno il loro mestiere, mi dà fastidio chi specula politicamente sul Paese, diffondendo voci senza fondamento solo per mettere in difficoltà il governo: è un atteggiamento provinciale tipico dell’Italia».
L’allusione, diretta, è a chi da sinistra, in tv, sui giornali o in Parlamento, continua a sostenere che questo governo vuole uscire dall’euro e dalla Ue, mentre i suoi rappresentanti lo negano di continuo. «Sull’euro, come sull’Europa in generale», spiega il viceministro, «si tratta di ragionare senza creare climi allarmistici: un conto sono le osservazioni accademiche e gli studi che dimostrano che l’euro è una moneta che vale troppo per l’Italia e per certi versi ci danneggia, oltre ad avere dei problemi strutturali suoi, in quanto non è stata implementata fino in fondo; un altro conto sono le questioni tecniche, in merito alle quali possiamo interloquire con l’Europa come abbiamo già cominciato a fare sul tema immigrazione». E i minibot per pagare i crediti della Pubblica Amministrazione? «Il ministro ha detto che non si fanno. Se lei è in cerca di una dichiarazione che faccia risalire lo spread, da me non la avrà».
Ineccepibile dal punto di vista istituzionale. D’altronde Garavaglia è bocconiano (ma ha anche una laurea in Scienze Politiche) come Giorgetti, il suo mentore, anche lui partito come sindaco di un paese con vista sul Ticino, solo 40 chilometri più a nord. «Dicono che sono il suo pupillo», ammette «ma la questione è diversa e più semplice, è che siamo d’accordo anche prima di parlarci». Adesso il dialogo è destinato a infittirsi, visto che Giorgetti avrà voce in capitolo sulla gestione della Cassa Depositi e Prestiti, il fondo che raccoglie i denari dei risparmiatori postali, si parla di 3-400 miliardi di raccolta per un’attività di una quarantina l’anno. «La Cassa» spiega Garavaglia «ha tutte le leve per essere una macchina da guerra e diventare un attore fondamentale dell’economia: serve solo che i ministeri la supportino politicamente, aiutandola ad attuare scelte strategiche».
Non si sbilancia, il viceministro. «Guardi», prova ad arrivare al punto ostentando tranquillità, «la situazione è ingarbugliata ma le cose da fare sono semplici e la via è chiara. Il fisco in Italia oggi è una giungla per furbi, dove tra detrazioni, deduzioni e chili di norme, chi è più abile paga meno, anche a prescindere dai guadagni: se iniziamo a disboscare, allora sarà davvero possibile abbassare le tasse. Quanto all’assistenza ai bisognosi, è la stessa cosa: il quadro è così frastagliato e complesso che magari capita di aiutare tre volte la stessa persona e abbandonare una coppia di anziani senza i soldi per vivere. Pure qui, l’unica ricetta è semplificare, e allora magari scopriremo che i soldi per il reddito di cittadinanza li stiamo già pagando, solo senza nessun progetto e obiettivo e alle persone sbagliate. Infine gli investimenti: sono crollati, bisogna ribaltare la logica del governo precedente, che ha centralizzato tutto, non riuscendo poi a spendere le risorse tolte agli enti locali. Gli investimenti vanno lasciati il più possibile sul territorio, allora sì che aiutano le imprese e creano Pil».
Domande a raffica: l’aumento dell’Iva ci sarà? Il ministro Tria non pare del tutto contrario.
«Tria, come molti economisti, pensa che sia meglio e più equo tassare i consumi che i redditi, perché i ricchi spendono di più ed è un prelievo più diretto. Però l’orientamento del Parlamento è disinnescare l’aumento ed è questo che accadrà. Peraltro non sarà un grande problema, abbiamo le leve economiche per farlo».
Aumenteremo il rapporto deficit/Pil per finanziare il calo delle tasse e la crescita?
«È possibile una rimodulazione ma dipende dalla trattativa che il ministro avrà con Bruxelles. Il problema non è tanto la salita del debito bensì riuscire a crescere più del debito e usare i soldi di un eventuale aumento del deficit non per incrementare la spesa corrente ma per fare investimenti produttivi e che diano ritorno».
La flat tax è la via maestra per la crescita del Pil?
«Certo, insieme alla ripartenza degli investimenti».
Riformerete la legge Fornero?
«È un obiettivo che Lega e M5S si erano posti ancora prima di siglare il contratto di governo e secondo i sondaggi è la promessa elettorale a cui gli italiani tengono di più. Non costa neppure troppo: si potrebbe partire da lì».
Pensate d separare assistenza e previdenza?
«Se lo facessimo, gli italiani scoprirebbero che non c’è un grande problema di copertura delle pensioni. Mettere ordine nell’assistenza sarebbe propedeutico al reddito di cittadinanza, perché finalmente avremmo un quadro chiaro di chi paghiamo e perché».
Cosa succederà quando, a fine anno, terminerà il quantitative easing di Draghi?
«Draghi ha fatto per l’Italia il meglio che si poteva fare. Se pone fine all’acquisto automatico da parte della Bce dei titoli di Stato dei Paesi Ue, non prevedo sfracelli. Salirà un po’ l’inflazione, ma non ci farà male; anzi, ora abbiamo il problema inverso».
Le sanzioni russe ci danneggiano molto?
«Sono una decisione politica, non certo economica, che ha danneggiato parecchio alcuni settori, come il lusso e l’ agroalimentare».
Sugli immigrati siamo riusciti a sensibilizzare l’Europa: in economia ci staranno a sentire?
«Quello che sta accadendo in Germania è molto interessante: stanno capendo che il mantenimento dello status quo alla lunga non regge. Si è esaurito un ciclo e c’è la possibilità di cambiare. Tra un anno si vota e gli equibri a Bruxelles cambieranno. Credo che questta prospettiva porterà la Germania ad ascoltare di più il governo italiano prossimamente».
Che ruolo avrà lei al ministero?
«Penso che mi assegneranno le deleghe fiscali».
Quindi farà lei la flat tax?
«La flat tax è nel programma ed entro la legislatura si farà, ma per gradi. Secondo me si può iniziare dalle imprese medio-piccole, forrse già ad agosto, per poi passare alle grandi e infine alle persone. Ma ci saranno altre forme di agevolazioni fiscali, per esempio per le partite Iva: oggi la gente le chiude o non le apre, perché non convengono, si arriva a pagare fino al 60%; noi dovremmo renderle fiscalmente appetibili e puntare a un vero e proprio boom delle partite Iva, con una forfettizzazione fiscale. Abbassare le imposte porta più reddito, la prova l’abbiamo avuta diminuendo del 10% il bollo auto in Lombardia».
Dopo la pace fiscale arriverà il condono?
«Non sono in grado di dare una risposta ma l’orientamento non è verso il classico condono. Di certo ci sarà la pace fiscale, tutti potranno sanare i contenziosi aperti. Poi si vedrà, le regole fiscali sono molto complicate, basta una virgola per cambiare il significato di una legge».
Non ha anche lei, come tutti i suoi predecessori, una ricetta sicura per recuperare i 540 miliardi annui di evasione fiscale?
«La semplificazione è un modo per far recuperare tempo alle aziende e a chi deve controllare. Come indirizzo vorrei che si smettesse di picchiare sempre su chi si può prendere perché ha già fuori la testa e ci si concentrasse sull’economia in nero, riportandola nel mercato. Differenzierei i premi a chi contrasta l’evasione: bisogna puntare ai pesci grossi e agli evasori totali. E poi disincentivare l’elusione: l’Europa oggi ti consente di lavorare in Italia ma avere la sede fiscale all’estero. Non è questo che pensavamo quando parlavamo di unione fiscale, ma siccome le regole sono queste, adeguiamoci e iniziamo a fare concorrenza agli altri Stati».
Quali sono i segreti del miracolo economico lombardo?
«È la cosa più semplice del mondo: concentrare la spesa sugli investimenti e tagliare quella corrente, autofinanziarsi e pagare in tempo le aziende che lavorano per il pubblico».
È replicabile su scala nazionale?
«Basta sostituire le tante regole confuse con poche norme chiare».
Vi lasceranno lavorare o ci saranno resistenze negli uomini dello Stato legati ai precedenti governi?
«Un po’di resistenza è inevitabile e umana e la stiamo incontrando. Con il cuore tanti sono più vicini ad altre esperienze ma devo dire che nei cosiddetti “grand commiss” ci sono ancora un forte senso dello Stato e uno spirito di servizio che prevalgono su tutto».
Che errori hanno fatto i vostri predecessori?
«Gli 80 euro sono stati costosi e inutili. E centralizzare la spesa è stato un autogol: meglio sull’autonomia».
Ma che cosa c’entra l’autonomia con l’economia?
«Ci sono vincoli di spesa a Regioni virtuose posti solo per essere più realisti del re. Se uno ha i soldi, deve poterli spendere pure se il vicino è in rosso».