Roghi tossici, il business dei rom vale mezzo milione di euro
Un patto tra nomadi e imprenditori per un affare da mezzo milione di euro: quello dello smaltimento e il traffico illecito di oltre tre tonnellate di rifiuti della Capitale.
Le basi della filiera criminale scoperta dai carabinieri della sezione di polizia giudiziaria della Procura di Roma e dei carabinieri forestali di Roma, Rieti e Latina, erano i campi rom de La Barbuta, nei pressi dell’aeroporto di Ciampino, e di via Salviati, in zona Tor Sapienza. È qui che i nomadi, anche con l’aiuto di bambini e ragazzi minorenni, selezionavano, separavano e assemblavano i rifiuti raccolti nei cassonetti, oppure recuperati porta a porta, in abitazioni e attività commerciali. Alle società di recupero veniva poi venduta la parte di valore, ovvero ferro, rame, bronzo, ottone, che venivano fatti recapitare al mittente con tanto di documenti falsi grazie ai quali aggirare i controlli. Non solo. Nel business rientravano anche i materiali ricavati dalla demolizione di auto di lusso, smontate e rivendute in pezzi dai nomadi, in accordo con i proprietari che denunciavano poi il furto solo quando l’auto era stata completamente smembrata.
Il guadagno, per gli imprenditori, stava in una percentuale maggiore di profitto, derivata dal risparmio sulle spese di recupero e smaltimento delle componenti “indesiderate”. A pagare il prezzo più alto, come al solito, erano invece i cittadini, visto che gli scarti accumulati venivano puntualmente dati alle fiamme dai nomadi per fare spazio alla nuova mercanzia. E oltre il danno, c’è anche la beffa, visto che uno dei fortini degli arrestati era tra gli osservati speciali del Campidoglio. La maggior parte degli affari, infatti, si facevano a La Barbuta, uno dei villaggi della solidarietà per i quali il Comune ha messo a disposizione fondi da assegnare ai nomadi per spronarli ad affittare casa e cercare un lavoro, così da riuscire a chiudere l’insediamento entro il 2020. Un traguardo che, alla luce degli ultimi fatti di cronaca, appare utopico.
A finire in manette sono state quindici persone, mentre sono 57 i nomi degli indagati che compaiono nelle carte della Procura. Tutti sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di “traffico illecito di rifiuti, associazione per delinquere finalizzata alla ricettazione di veicoli, truffa in danno delle assicurazioni, simulazione di reato, favoreggiamento personale”. Ma gli arresti sembrano non aver fermato il business visto che i roghi continuano a divampare nei diversi insediamenti, più o meno regolari, che sono sparsi ormai in ogni quadrante della Capitale. Secondo il Messaggero, soltanto nel VI municipio, alla periferia Est di Roma, le discariche gestite dai rom con tanto di inceneritori fai-da-te sarebbero almeno quindici.
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