Le frasi dimenticate di Wojtyla: “Controllare i flussi di migranti”
La Chiesa nelle parole di Bergoglio, papa Ratzinger e Giovanni Paolo II. Quando si parla di migranti, migrazioni e regole dei paesi ospitanti, la linea del Vaticano non è sempre stata quella dell’accoglienza a tutti i costi che sembra trapelare in questi anni con papa Francesco sul soglio di Pietro.
A far scattare nuovamente la polemica è stato l’ultimo messaggio per la Giornata Mondiale del migrante in cui Bergoglio ha esortato a dare la cittadinanza a chi nasce in un Paese. Dando nuovo slancio allo Ius soli italiano.
Eppure c’è chi ha ricordato al papa le parole di Benedetto XVI, quando disse chiaramente che il primo diritto del migrante è quello a “non emigrare”, ovvero a trovare le condizioni economiche e sociali giuste per rimanere nel proprio Paese e farlo prosperare invece di cercare fortuna altrove. Ma anche Giovanni Paolo II nella sua Ecclesia in Europa, pubblicata nel 2003, pose l’accento sulla questione immigrazione e il rapporto che l’Europa dovrà affrontare con l’avanzata dell’islam.
Come ricorda il Foglio, infatti, a proposito di islam e migrazione Wojtyla scriveva che “Si tratta pure di lasciarsi stimolare a una migliore conoscenza delle altre religioni, per poter instaurare un fraterno colloquio con le persone che aderiscono ad esse e vivono nell’Europa di oggi. In particolare, è importante un corretto rapporto con l’islam. Esso, come è più volte emerso in questi anni nella coscienza dei vescovi europei, ‘deve essere condotto con prudenza, con chiarezza di idee circa le sue possibilità e i suoi limiti, e con fiducia nel progetto di salvezza di Dio nei confronti di tutti i suoi figli’. E’ necessario, tra l’altro, avere coscienza del notevole divario tra la cultura europea, che ha profonde radici cristiane, e il pensiero musulmano. A questo riguardo, è necessario preparare adeguatamente i cristiani che vivono a quotidiano contatto con i musulmani a conoscere in modo obiettivo l’islam e a sapersi confrontare con esso; tale preparazione deve riguardare, in particolare, i seminaristi, i presbiteri e tutti gli operatori pastorali”. Insomma: rapportarsi con l’islam sì, ma facendo attenzione e ponendosi in un confronto crtico. “Il rapporto con l’islam deve essere condotto con prudenza – scriveva ancora Giovanni Paolo II – con chiarezza di idee circa le sue possibilità e i suoi limiti”, riconoscendo “la frustrazione dei cristiani che accolgono dei credenti di altre religioni e che si vedono interdire l’esercizio del culto cristiano”.
Per Wojtyla, insomma, è necessario comprendere che c’è un “notevole divario” tra islam e Occidente, che il dialogo deve essere “corretto”, vissuto con “prudenza” e che non può essere semplicemente di apertura totale come sembra prevalere oggi l’approccio del clero nei confronti dei musulmani (preghiere islamiche in Chiesa e via dicendo). “E’ peraltro comprensibile – prosegue il Papa, come riporta il Foglio – che la Chiesa, mentre chiede che le istituzioni europee abbiano a promuovere la libertà religiosa in Europa, abbia pure a ribadire che la reciprocità nel garantire la libertà religiosa sia osservata anche in paesi di diversa tradizione religiosa, nei quali i cristiani sono minoranza”.
Ecco insomma il principio di reciprocità, che sembra dimenticato dalla Chiesa attuale. Mentre nei Paesi musulmani i cristiani continuano ad essere perseguitati e i fedeli di Cristo scompaiono da intere regioni Medio Orientali (come descritto dettagliatamente nei reportage de ilGiornale.it e da Gli Occhi della Guerra), qui i musulmani vengono trattati con i guanti bianchi. E questo non era accettabile dal Papa polacco, che affermò il diritto dell’Europa e della Chiesa di chiedere appunto “reciprocità” nel rapporto di libertà religiosa con l’islam.
Sul tema dell’immigrazione, invece, Wojtyla si sofferma nella sua enciclica quando parla di evangelizzazione. La sfida dell’immigrazone “interpella la capacità della chiesa di accogliere ogni persona, a qualunque popolo o nazione essa appartenga. Esso stimola anche l’intera società europea e le sue istituzioni alla ricerca di un giusto ordine e di modi di convivenza rispettosi di tutti, come pure della legalità, in un processo d’una integrazione possibile”. Integrazione possibile, ma ad alcune condizioni: “E’ responsabilità delle autorità pubbliche – scriveva il Papa polacco – esercitare il controllo dei flussi migratori in considerazione delle esigenze del bene comune. L’accoglienza deve sempre realizzarsi nel rispetto delle leggi e quindi coniugarsi, quando necessario, con la ferma repressione degli abusi”. Per Wojtyla era inoltre necessario “salvaguardare il patrimonio culturale proprio di ogni nazione” e dare una particolare attenzione ai migranti cattolici. Come a dire: prima si faccia attenzione ai propri fedeli, poi agli altri. Un messaggio che in molti dovrebbero rileggere oggi.
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