Val Susa, Puglia, Sicilia: quei territori ingannati dal M5s “ambientalista”

Tav in Val di Susa, Tap in Salento, Ilva di Taranto, raffinerie a Gela, trivelle nello Jonio, in Adriatico e in Basilicata, Muos a Niscemi in provincia di Caltanissetta, inceneritori in mezza Italia.

Da Nord a Sud, tante bandierine gialle piantate dal M5s e altrettante vittorie conquistate alle ultime elezioni politiche. Ma ora una delle Cinque stelle originarie, quella dell’ambiente, è diventata una supernova sul punto di esplodere. Dopo sette mesi di autoproclamato «governo del cambiamento» è tanta la distanza tra le promesse e i consensi ottenuti da un lato e le azioni dei grillini sulle questioni ambientali dall’altro.

La retorica ambientalista da «Ragazzo della Via Gluck» finora ha portato a Luigi Di Maio e soci solo polemiche e retromarce. Sul No alla Tav, l’esecutivo è appeso all’analisi costi-benefici. Peccato che i numeri del 4 marzo parlino una lingua diversa rispetto al grillismo di governo. Nei Comuni della Val di Susa vicini al cantiere dell’alta velocità, i Cinque Stelle hanno ottenuto percentuali da capogiro: a Venaus, uno dei centri simbolo della lotta, il 60 per cento, Mompantero, negli scorsi anni teatro di scontri, quasi il 46, Bussoleno 44 per cento. In tutta la valle No-Tav il M5s ha superato abbondantemente il 30 per cento dei voti. Cifre ancora più impressionanti a Melendugno, in provincia di Lecce, punto di approdo del gasdotto Tap. Nella cittadina del Salento i grillini hanno conquistato il 67 per cento. Proprio il paese dove, a fine ottobre scorso, i cittadini hanno bruciato le bandiere del Movimento in seguito alla decisione del premier Giuseppe Conte di dare il via libera alla grande opera. In tutta la provincia di Lecce, dove sono presenti anche impianti di trivellazione in mare, il partito guidato da Di Maio ha ottenuto il 42 per cento, eleggendo 11 parlamentari tra cui il ministro per il Sud Barbara Lezzi. Ma l’en plein c’è stato in tutta la regione. Nella Puglia dei No-Triv, i Cinque stelle hanno sfiorato il 43 per cento, a fronte di una media nazionale del 32. E ieri ha fatto discutere la notizia dell’autorizzazione, concessa da Di Maio, di tre nuovi permessi di ricerca a largo dello Jonio.

Anche la Sicilia è terra di petrolio, proteste ambientaliste e disastri ecologici, come quello provocato dall’ex polo petrolchimico Eni di Gela. Nella città della raffineria, il M5s ha preso quasi il 47 per cento dei voti, eleggendo al Senato all’uninominale l’ex assessore comunale Pietro Lorefice. A Gela il Movimento aveva vinto le elezioni amministrative nel 2015, portando alla carica di sindaco Domenico Messinese, poi espulso dal partito e sfiduciato dal consiglio comunale a settembre scorso.

Un altro focolaio critico delle promesse disattese è Taranto, città dell’Ilva. «Impianto da chiudere» secondo i grillini in campagna elettorale, anche se poi Di Maio al governo ha firmato con la società Arcelor Mittal un accordo simile a quello del suo predecessore Carlo Calenda. Nella città delle acciaierie il M5s ha ottenuto circa il 44 percento, portando in Parlamento cinque «portavoce». Infine la Basilicata, regione al voto il prossimo maggio e sede del più grande giacimento petrolifero d’Europa. Prima di Natale il governo si è costituito in giudizio contro la Regione in merito all’autorizzazione del nuovo impianto «Masseria La Pergola», e in tanti si sentono traditi, soprattutto dopo il 43 per cento dei voti dato al M5s il 4 marzo.

il giornale.it

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