Quella lobby dei Comuni rossi che cerca di uscire dall’ombra con la guerra santa anti Lega
Usano Matteo Salvini per ingigantirsi come faceva Braccio di Ferro con gli spinaci. Non pensate, dunque, che sia la disobbedienza civile del sociologo Danilo Dolci o quella nobile della tradizione radicale.
Nella volontà annunciata ieri dai sindaci di Palermo e di Firenze di ammutinarsi di fronte al decreto Sicurezza del ministro dell’Interno, c’è infatti la solidarietà pelosa che serve a ritrovare un nuovo e personalissimo protagonismo politico. Scomparsi dal dibattito e superati dalla promessa di reddito di cittadinanza a Cinque stelle, a sinistra sono tornati ad agitarsi i campioni ammaccati del populismo, i candidati alle primarie del Pd che in Salvini cercano una resurrezione.
A Roma, il governatore Nicola Zingaretti ha dichiarato che «bisogna impegnarsi contro l’odio e contro le norme scritte solo per fare propaganda». A Napoli, interagiscono il governatore Vincenzo De Luca e il sindaco Luigi de Magistris, arcinemici da sempre ma amici per opportunità e per liberare il centro Italia dal giogo padano. A Bari, non arretra Michele Emiliano che è sempre in continua crisi di identità: è stato eletto con il Pd ma ha gettato la tessera del Pd e non si è dimesso da magistrato. A Palermo, come detto, l’ultimo caudillo a preparare la controffensiva è Leoluca Orlando, un antico e consumatissimo leader che è riuscito a servirsi del pensiero gesuitico di padre Ennio Pintacuda, a cavalcare il giustizialismo di Antonio Di Pietro, a salvarsi dalla rottamazione di Matteo Renzi, a esibire l’antimafia come patente morale.
Ai funzionari del suo comune, Orlando ha ordinato infatti di recalcitrare contro il governo con tanto di nota ufficiale che già dal primo verbo è un comando che sfida un altro comando: «Impartisco la disposizione di sospendere, per gli stranieri eventualmente coinvolti dalla controversa applicazione della legge, qualunque procedura». Ebbene, a cominciare dall’impartisco c’è tutto il carattere di Orlando che somiglia più di quanto si immagini a quello di Salvini a cui disobbedisce. Come si vede, è a destra (e su Salvini) che si stanno celebrando le primarie della sinistra; è a sinistra che si fanno le prove di sedizione non contro un ministro ma contro una legge di Stato. Con un’incoronazione napoleoneggiante, lo scorso 3 dicembre, de Magistris si è autointronato perché – ha spiegato ai colleghi che lo ascoltavano mentre straparlava di deriva fascista – «il M5s ha tradito. L’inizio del nostro progetto è essere l’anti Salvini». A Firenze, l’impalpabile sindaco Dario Nardella, più volte ammonito da Matteo Renzi, per i suoi scarsi risultati e che è riuscito a multare il direttore degli Uffizi, un uomo che fa lode all’Italia anche nella sua Germania, ha riscoperto, grazie a Salvini, la tempra che aveva smarrito: «Firenze non si piegherà al ricatto contenuto nel decreto Sicurezza». E per fare un nuovo salto in Sicilia, all’Ars si sta addirittura pensando, su proposta del suo presidente Gianfranco Miccichè, di formare una speciale commissione sul fenomeno dei migranti. Insomma, Salvini è riuscito anche in questo: ha compattato la sinistra, il Nord e il Sud, democratici e para democratici e li ha fatti arrivare sino all’estremo paradosso. Ieri, a leggere le note di sindaci e governatori del Pd, non sembrava di abitare in Italia ma di vivere in un territorio occupato. Non sembrava di ascoltare parole di sinistra ma di leggere vecchi comunicati della Lega secessionista.
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