Ddl lavoro, tornano le “dimissioni in bianco”. Sindacati contro il governo: “Favorisce la precarietà”

Il disegno di legge sul lavoro, recentemente approvato dal Senato con 81 voti favorevoli, 47 contrari e un astenuto, era stato presentato dal governo Meloni il Primo maggio 2023. Dopo un lungo e articolato percorso, a ottobre di quest’anno ha ottenuto l’approvazione della Camera e successivamente del Palazzo Madama, rendendolo legge. Questo provvedimento ha suscitato ampie discussioni, poiché molti dei suoi elementi sembrano favorire forme di lavoro meno tutelate, in particolare i contratti di somministrazione e quelli stagionali. Inoltre, ha generato polemiche il fatto che, in futuro, un lavoratore che non si presenti al lavoro senza giustificazioni per un determinato periodo possa vedersi considerato come dimissionario.

Quando scattano le dimissioni ‘in bianco’ La legge stabilisce che, in caso di assenza ingiustificata del lavoratore oltre i termini previsti dal contratto collettivo nazionale, oppure in mancanza di una norma specifica per un periodo superiore a quindici giorni, il datore di lavoro deve informare l’Ispettorato nazionale del lavoro. In caso di assenza, il rapporto di lavoro sarà considerato risolto per volontà del lavoratore. Quindi, un’assenza ingiustificata per un certo lasso di tempo sarà equiparata a dimissioni volontarie. È importante notare che le dimissioni ‘in bianco’ comportano la perdita di alcune protezioni per il lavoratore, come il diritto alla Naspi nella maggior parte dei casi. Secondo le forze di centrodestra, questa norma mira a prevenire che i lavoratori costringano i datori a licenziarli non presentandosi al lavoro, per poi richiedere l’indennità di disoccupazione.

In aggiunta, i contratti stagionali potranno essere applicati anche a categorie che attualmente non li prevedono, in particolare per le attività che richiedono un incremento della forza lavoro in specifici periodi dell’anno o per esigenze legate ai cicli stagionali dei vari settori produttivi.

Maggiore flessibilità per i contratti di somministrazione La legge amplia anche la possibilità di ricorrere ai contratti di somministrazione. Attualmente, un’azienda può assumere un numero di lavoratori in somministrazione pari al 30% dei dipendenti a tempo indeterminato all’inizio dell’anno. Ad esempio, un’azienda con dieci dipendenti a tempo indeterminato può avere al massimo tre lavoratori in somministrazione.

Con le nuove disposizioni, diversi gruppi di lavoratori non verranno conteggiati in questo limite. In particolare, non si considerano i dipendenti a tempo indeterminato assunti tramite agenzie di somministrazione, né quelli presi per esigenze specifiche come start-up, lavori stagionali o sostituzioni. Inoltre, non verranno conteggiati i lavoratori over 50. Questo significa che, in alcune situazioni, il numero di contratti di somministrazione che un’azienda può stipulare aumenterà significativamente.

Un’ulteriore modifica riguarda la durata dei contratti di somministrazione: per i contratti stipulati con disoccupati che percepiscono la Naspi o altri ammortizzatori sociali da almeno sei mesi, non sarà necessaria una causale per il rinnovo del contratto a tempo determinato.

Novità su smart working e cassa integrazione Per quanto riguarda lo smart working, la legge prevede che il datore di lavoro debba comunicare i nomi dei dipendenti coinvolti al ministero del Lavoro entro cinque giorni dall’inizio del periodo di lavoro agile, o entro cinque giorni dalla modifica della durata o cessazione di tale periodo. Un’altra novità riguarda la cassa integrazione: i lavoratori in cassa integrazione potranno accettare un altro impiego, sia esso subordinato o autonomo, a patto di informare l’Inps; in tal caso, perderanno il diritto all’integrazione salariale.

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