L’orgoglio dei carabinieri: “Basta fango sull’Arma”

Roma Il caso Cucchi brucia, brucia moltissimo nell’Arma e si nota. Durante l’incontro di qualche giorno fa con la sorella di Stefano, geometra tossicodipendente morto all’ospedale Pertini nel 2009, il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, disse pubblicamente: «Io credo che in tanti dobbiamo chiedere scusa.

Erano molti quelli che dovevano vedere e non hanno visto». Scuse che non tutti hanno mandato giù, anche perché arrivate prima della fine di un processo chedi certo rivelerà altri colpi di scena.

Ieri, alla cerimonia per i 40 anni del Gis (Gruppo di intervento speciale), nella caserma dei carabinieri di Tor di Quinto, il ministro ha voluto ribadire, seppur velatamente, che l’Arma è sempre stata «vicina al cittadino» e che i carabinieri sono un «punto di riferimento, esempio di rettitudine, integrità e senso del dovere». Il problema, per il ministro, sussiste quando «si accerti l’avvenuta negazione di questi valori. È lì – ha proseguito – che si deve agire e accertare la verità isolando i responsabili allo scopo di ristabilire la fiducia dei cittadini nell’Arma». Meno morbido il ministro dell’Interno, Matteo Salvini: «Da ministro non ammetterò mai che l’eventuale errore di uno permetta a qualcuno di infangare il sacrificio e l’impegno di migliaia di ragazzi e di ragazze in divisa. Mai niente e nessuno potrà mettere in discussione il vostro onore, la vostra fedeltà e lealtà».

Ancor più incisivo il discorso del comandante generale dell’Arma, Giovanni Nistri, per il quale «si deve ricordare che è nella virtù dei 110mila uomini che compongono l’Arma che abbiamo tratto e traiamo la forza per continuare a servire le istituzioni. Sono molti di più dei pochi che possono dimenticare la strada della virtù». Nonostante le polemiche il clima è rimasto quello di una cerimonia, culminata in una dimostrazione pratica suggestiva da parte degli uomini del Gis. Le esternazioni arrivano, peraltro, mentre alla Corte d’Assise è in corso l’udienza sulla morte del giovane.

Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, dopo l’incontro con la Trenta e Nistri aveva detto: «Mi sarei aspettata non dico delle scuse, perché avrebbe potuto essere per lui troppo imbarazzante, ma certo non 45 minuti di sproloquio contro Casamassima, Rosati e Tedesco, gli unici tre pubblici ufficiali che hanno deciso di rompere il muro di omertà nel mio processo».

L’Arma avrebbe già pronta una contro offensiva che servirebbe a dimostrare che i fatti sono andati diversamente da quanto sta emergendo dal processo. Ieri, però, durante l’udienza, è emerso che in una telefonata il luogotenente Massimiliano Colombo, comandante della stazione Tor Sapienza, dove Stefano rimase per qualche ora dopo essere stato arrestato, avrebbe chiarito che il tenente Francesco Cavallo, vice del Gruppo dei Carabinieri di Roma, gli inviò note falsificate sullo stato di salute di Cucchi. Lati oscuri che dovranno essere chiariti nel corso di un iter processuale ancora lungo e che sicuramente ne mostrerà delle belle. Un processo per cui tutti stanno chiedendo scusa ancor prima che sia concluso. Sanno o, semplicemente, è più comodo isolare pochi per difendere i molti?

IL GIORNALE.IT

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