Paragone inchioda Fazio, la Rai e Cottarelli. Scoppia una furiosa lite. Guai per la Rai?

Carlo Cottarelli si rivolge al direttore di Libero per far luce su un articolo uscito sul suo conto.

Fazio fa beneficenza a Cottarelli” diceva il titolo dell’articolo su cui Cottarelli ha voluto fare delle precisazioni.

Rispetto al compenso cui si allude, scrive: “viene pagato dalla società di produzione all’ Università Cattolica di Milano che lo utilizza per finanziare assegni di ricerca per giovani laureati. Sottolineo che il pagamento è fatto dalla società di produzione (una società privata) e non dalla Rai, che acquista il programma dalla società di produzione per un prezzo prefissato. Quindi se tale pagamento non venisse effettuato il risultato sarebbe un profitto più alto per la società di produzione (e non un risparmio per la Rai) e meno occupati come assegnisti universitari.”

Gianluigi Paragone, però, ha subito tenuto a rendere nota la sua riflessione sulla presenza di Cottarelli nello studio di Che tempo che fa.

“Quanto vale allora la performance artistica di Carlo Cottarelli? 6500 euro a puntata! Alla faccia del bicarbonato di sodio, avrebbe esclamato Totò.
Infatti è tutta da ridere ‘sta presenza fissa pagata-ma-non-pagata del Cotta. Le cose stanno così: la Rai riconosce a puntata i 6500 euro alla società di Fazio, che li gira a Cottarelli, che a sua volta – non volendo denaro per sé – li transita attraverso un contratto di consulenza testi all’ Osservatorio sui Conti Pubblici presso l’ Università Cattolica di Milano per il finanziamento di borse di studio. La Fiera dell’ Est appunto. Ma anche la fiera dell’ assurdo perché far transitare 6500 euro di consulenza testi e poi predicare il rigore dei conti pubblici è il più clamoroso degli autogol.

Ma evidentemente non dev’ essere un problema per il prof Cottarelli, grande difensore della riforma Fornero pur essendo un pensionato d’ oro (220mila euro, che si cumularono ai 258mila euro di retribuzione come commissario alla spending review) del Fondo monetario internazionale dall’ età di 59 anni.
Inevitabile domandarci se c’ è una finalità politica delle lezioni domenicali. Io penso di sì: chi fa parte del sistema va protetto a prescindere. Non importa inciampare nei 6500 euro al mese, l’ importante è avere un pulpito da dove predicare le solite lezioncine con la complicità degli amici che ti coprono le spalle dal fuoco amico.
Era stato così anche con Mario Monti, altro uomo dell’ austerity cui scappò la mano del debito pubblico senza che nessuno aprisse bocca. Era il 12 luglio del 2012 quando Moody’ s abbassò il rating italiano facendo impennare lo spread a 478 punti. Un nulla rispetto allo stato dell’ arte odierno. Eppure il giorno dopo i grandi giornali usarono ben altri registri rispetto a quelli usati oggi.

«Siamo virtuosi, ci puniscono» titolava il Corriere riferendo le parole del premier uscito dalla Bocconi. Nessun pericolo, nessun problema era anche il commento che arrivava dall’ Europa, dalla Germania, dalla Confindustria. Tutto bene perché Monti stava facendo quello che ordinava il sistema: tagliare, impacchettare l’ Italia, far pagare il prezzo del risanamento al ceto medio.
Non solo, sempre il Corrierone bacchettava l’ agenzia di rating (Moody’ s) per non aver capito nulla del reale stato di salute di un banca d’ affari americana pronta a zompare: «Chi non vide Lehman ci mette sotto le Bahamas». Pure Repubblica si unì allo sdegno: «Monti e Ue, processo a Moody’ s». Il commento fu affidato a Federico Rampini dal titolo: «Quando peccano le Signore del rating».
Chissà perché quando ricordo io queste cose la risposta dei “più bravi” è sempre la stessa: «Erano altri tempi, altre situazioni». Soprattutto altri governi. Governi amici. Buono a sapersi.”

Il problema posto, dunque, non è “quanti soldi ma perchè”.

Cosa ne pensi?

Fonte: Libero

 

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