L’Italia gialloverde fa paura Già portati via 75 miliardi

Un primo avvertimento c’è già stato all’inizio dell’estate. Nei tre mesi da maggio a giugno la bilancia dei pagamenti italiana ha registrato un deflusso di investimenti di portafoglio per 62,2 miliardi di euro dei quali 57,3 miliardi riferibili a titoli di Stato.

In particolare, i disinvestimenti in Btp e similari a maggio e giugno hanno raggiunto quota 66 miliardi, cioè la gran parte di una fuga di 75,7 miliardi di capitali. In buona sostanza, la formazione del governo populista giallo-verde ha preoccupato gli investitori esteri che hanno ritirato i propri soldi dagli asset italiani.

Il dato è molto allarmante e su questo tema ha battuto il presidente della Bce, Mario Draghi, nelle sue interlocuzioni con le istituzioni italiane: dal Quirinale fino al ministro dell’Economia Giovanni Tria. Per dare una dimensione del fenomeno basti pensare che durante l’intera tempesta da spread verificatasi tra luglio 2011 e luglio 2012 i disinvestimenti di portafoglio che hanno interessato l’Italia hanno totalizzato 164 miliardi di euro. In due mesi si è raggiunto la metà di quella cifra. Una tendenza senza precedenti con l’unica eccezione di dicembre 2016 quando l’incertezza post-referendum costituzionale fece uscire dal Paese 33 miliardi di euro poi recuperati nei mesi successivi. Una manovra finanziaria che porti il rapporto deficit/Pil al 2,4% (da un tendenziale dell’1,2%) in quest’ottica potrebbe rappresentare una sorta di «liberi tutti», soprattutto per gli investitori più prudenti.

Tanto più che la fuga di capitali esteri ha alimentato il solito circolo vizioso tra debito pubblico e portafogli bancari. L’ammontare di titoli di Stato in pancia agli istituti italiani è aumentato nello stesso periodo di 32 miliardi circa raggiungendo la considerevole cifra di 373,4 miliardi. È difficile, però, che le banche possano continuare a svolgere un ruolo di «supplenza» a tempo indeterminato considerato che proprio la Vigilanza di Francoforte intende spezzare questo cortocirtuito che aumenta il profilo di rischio dei portafogli. Se a questo si aggiunge che da gennaio terminerà il quantitative easing della Bce che ha portato nelle casse dell’Eurotower oltre 400 miliardi di euro. L’istituzione guidata da Mario Draghi non ha certo fatto venire meno il proprio appoggio come testimoniato dall’oscillazione dello spread in uno spettro comunque contenuto nonostante il governo programmi spese pazze per redditi di cittadinanza e pensioni anticipate. Questa azione non potrà durare in eterno anche se la Bce non venderà i titoli in portafoglio e, pertanto, diventa necessario se non urgente «mettere in campo le scelte giuste di politica economica che servono a tranquillizzare i mercati», circostanza sottolineata molto di recente dal Centro studi di Confindustria.

Ricordare che ieri lo spread tra Btp e titoli decennali tedeschi ha chiuso in leggero rialzo a quota 309 non è antipatriottico. Così come non tradisce l’Italia chi richiama Salvini e Di Maio a non esagerare. Entro il 30 settembre 2019 sono in scadenza 314 miliardi di titoli pubblici e per vendere i nuovi senza promettere rendimenti super occorre mantenere il merito di credito, cioè la valutazione delle agenzie di rating che già hanno mostrato il cartellino giallo alla combriccola scanzonata guidata dal premier Giuseppe Conte. A fine luglio il debito pubblico si è attestato a 2.341 miliardi di euro e la sua incidenza sul Pil è purtroppo superiore al 130% (131,8% nel 2017) e su tali valori resterà pure quest’anno. Poca disciplina di bilancio non varrà solo la censura della Commissione Ue ma anche quella dei mercati.

Nel bilaterale a margine del G7 con il segretario Usa al Tesoro, Steven Mnuchin, il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha confermato all’interlocutore la volontà precisa di ridurre il rapporto debito/Pil. Analogamente è stato fatto sapere che «non è interesse degli Stati Uniti una destabilizzazione dell’euro e dell’Europa attraverso una crisi italiana». La benevolenza – o quantomeno la non ostilità – di Washington con annessi investimenti in Italia dei fondi Usa è una delle poche carte rimaste da giocare. Anche se per fare retromarcia sulla manovra c’è ancora tempo.

IL GIORNALE.IT

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