“Pagherà per i crimini”. Qualcuno già prepara il dopoguerra di Putin
Qualcuno inizia già a riflettere sulla fine della guerra in Ucraina e alle sue conseguenze legali. Specialmente contro il presidente russo Vladimir Putin. Il procuratore della Corte penale internazionale, Karim Khan, ha annunciato che il tribunale aprirà un’indagine sull’aggressione all’Ucraina il più “rapidamente possibile” affermando che esistono dei presupposti per “credere che siano stati commessi sia possibili crimini di guerra che crimini contro l’umanità”.
Il tema è esploso dopo la seconda ondata di attacchi contro l’Ucraina, che ha visto in particolare le forze russe impegnate sull’assalto alla città di Kharkiv. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, lo ha definito un “crimine di guerra”. “Ci sarà sicuramente un tribunale internazionale per questo crimine, è una violazione di tutte le convenzioni. Nessuno al mondo perdonerà di avere ucciso il pacifico popolo ucraino”, ha sentenziato il capo di Stato. E sulla stessa falsariga è intervenuto il vice premier britannico e ministro della Giustizia, Dominic Raab: “È chiaro sia per Putin ma anche per i comandanti a Mosca sul campo in Ucraina, che saranno ritenuti responsabili di qualsiasi violazione delle leggi di guerra”. E da Bruxelles, la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, ha confermato che l’Eurocamera sosterrà l’indagine della Corte Penale Internazionale: “Putin ne risponderà, come Lukashenko”.
Le accuse nei confronti del leader russo rientrano nella strategia di massima pressione diplomatica, oltre che militare e finanziaria, messa in atto confronti di Putin. E non è un caso che queste affermazioni arrivino spesso da Londra, dove proprio nella giornata di ieri, una frase (poi smentita) di un portavoce del governo aveva paventato in modo abbastanza curioso l’ipotesi di un “regime change”. La frase, decisamente interessante visto il momento e la provenienza, non è passata inosservata. Perché le sanzioni così soffocanti nei confronti della Russia, la compattezza granitica dimostrata finora dall’Occidente e il volere armare Kiev per fermare l’avanzata delle truppe russe sembrano avere due obiettivi: da un lato quello di impantanare l’assalto di Mosca salvando l’Ucraina; dall’altro, quello di fare in modo che i costi di questo conflitto diventino insostenibili non solo per le forze armate e Putin, ma per tutto il sistema finanziario ed economico russo. Più passa il tempo, spiegano gli esperti, più si erode la certezza che lo “zar” possa vincere. E questo automaticamente amplifica le ipotesi che il rallentamento dell’assalto indebolisca la leadership russa fino a farla capitolare come già avvenuto per uomini forti dell’Unione Sovietica.
Del resto è stato lo stesso sottosegretario agli Esteri (sempre britannico), James Cleverly, a rompere qualsiasi protocollo diplomatico invocando il golpe. “I suoi leader militari sanno che Putin è sempre più isolato e illogico, i generali russi hanno i mezzi per farlo cadere e noi gli chiediamo di agire”, riporta la Repubblica. E sono diversi think-tank e riviste da Oltreoceano e non a iniziare a parlare di un putsch a Mosca per esautorare il capo del Cremlino.
Le accuse di crimini di guerra sembrano rientrare in questa sensazione di resa dei conti. E d’altro canto, sono accuse precise, che manifestano anche una forma di convinzione da parte di Londra e delle altre cancellerie occidentali sul fatto che non ci sarà un dopoguerra che consideri come chiusa la partita con Putin. In caso di sconfitta in Ucraina, la Federazione Russa si troverà isolata, umiliata e con un presidente che sarà accusato di averla portata alla rovina nonché a rischio di processo come un criminale di guerra. In caso di vittoria, per Vladimir Putin si prepara in ogni caso un’ulterire pressione e un nuovo isolamento internazionale senza possibilità di perdono da parte dell’Occidente. Tema che appare estremamente rilevante anche per prevedere cosa potrebbe scattare nella mente dello zar e degli (ancora fidati) uomini della sua cerchia una volta preso atto che Nato, Unione Europea, Stati Uniti non prevedono il recupero delle relazioni con il Paese e con il suo establishment. L’impressione, in queste fase, è che Putin non sia più considerato il leader scomodo di una potenza con cui bisogna comunque dialogare, ma un uomo ormai messo al bando dal consesso occidentale. Un “paria della comunità internazionale” come disse Joe Biden in conferenza stampa. E forse è questo il vero nodo in cui si può capire il dopoguerra che si prepara per Mosca.