“Emorragia cerebrale”. Italia in apprensione per il suo campione: ricoverato in condizioni gravissime
Il mondo del calcio è in ansia per le condizioni di Beppe Furino, 76 anni, ex capitano della Juventus tra gli anni ‘70 e ‘80. Attualmente è ricoverato nella Stroke Unit dell’ospedale Santa Croce di Moncalieri a causa di una emorragia cerebrale. Le sue condizioni, secondo quanto si apprende da fonti sanitarie, sono stabili pur nella loro gravità. Escluso al momento l’intervento chirurgico.
Beppe Furino è nato a Palermo e ha militato nella Juventus per 15 anni a cavallo tra gli anni 1970 e 1980, conquistando otto scudetti, 2 Coppe Italia, 1 Coppa Uefa e 1 Coppa delle Coppe, disputando inoltre 2 finali di Coppa dei Campioni. Faceva parte della spedizione azzurra ai mondiali del ’70 in Messico. “Avevamo una signora squadra, con un centrocampo fortissimo: Mazzola, Rivera, De Sisti, Bertini, Cera. Ma avrei potuto far rifiatare qualcuno, in modo da presentarci in finale un po’ meno cotti o addirittura bolliti”, ha raccontato Furino.
Lo scorso marzo Beppe Furino ha vissuto il dramma della morte della moglie a causa del Covid: “Mi sento in colpa, l’ho portato io in casa e ho contagiato tutti, questo è il mio senso di colpa infinito. Sono confuso, è successo così in fretta, la situazione è precipitata e ci ha contagiato tutti”, aveva detto raccontando il suo “dolore indescrivibile”. La moglie fu l’unica della famiglia a finire in ospedale per problemi di saturazione, ma le sue condizioni peggiorarono fino alla morte il 22 marzo scorso.00:00/00:00
Beppe Furino ha raccontato il dramma della perdita della moglie in una intervista al Corriere della Sera. “Credo di essere stato l’untore che ha portato la malattia in casa: noi guarivamo lei peggiorava. Non la dimenticherò mai”. La donna era impegnata in politica a Moncalieri ed era una grande tifosa di calcio: “Era una vera tifosa da stadio, andava nei distinti al Comunale prima che io la convincessi a seguirmi in tribuna.
In quell’intervista ricordò anche un’altra epidemia che lo costrinse a cambiare casa: “Ci furono dei casi di tifo in Campania, nel paese di mio padre, dalle parti di Nola. Andai a vivere per un anno dai miei nonni materni a Ustica. Avevo tre o quatto anni. Allora non avrei mai pensato di diventare un calciatore, a casa mia l’unico tifoso ero io. Ero juventino ben prima di arrivare a Torino. La mia carriera è stata una cavalcata felice, il calcio mi ha dato tutto”.