Il giorno dopo, Zelensky durissimo: “Non mi scuso, servono garanzie”

Lo scontro tra Volodymyr Zelensky e Donald Trump alla Casa Bianca ha trasformato un incontro diplomatico in un vero caso politico. Il presidente ucraino, dopo il faccia a faccia teso con il leader americano, ha chiarito in un’intervista a Fox News di non avere alcuna intenzione di scusarsi. “Non devo nessuna scusa a Trump. Lo ringrazio per l’invito e lo rispetto, ma certe conversazioni non andrebbero fatte di fronte ai media, con tutto il rispetto per la democrazia e la stampa libera”, ha dichiarato Zelensky, lasciando intendere che la discussione con Trump sia andata ben oltre le differenze di vedute.

L’incontro, che avrebbe dovuto rafforzare i rapporti tra Washington e Kiev, ha invece segnato un punto di rottura. Trump, subito dopo il colloquio, ha chiarito la sua posizione affermando che per lui non è importante chi guiderà l’Ucraina, purché sia una persona pronta a concludere la guerra con la Russia attraverso una soluzione pacifica. “Forse Zelensky può farcela, forse no, ma ho bisogno di qualcuno che possa risolvere il problema pacificamente”, ha dichiarato, criticando l’atteggiamento del presidente ucraino, reo di attaccare costantemente Vladimir Putin anziché cercare un compromesso. “Non ho bisogno che questa guerra continui”, ha aggiunto, lasciando intendere che il sostegno americano potrebbe non essere più scontato se Kiev non cambierà approccio.

La freddezza con cui Trump ha liquidato Zelensky è stata rafforzata dal segretario di Stato Marco Rubio, che ha apertamente accusato il leader ucraino di aver fatto perdere tempo alla delegazione americana con un incontro che si è rivelato inconcludente. Per l’amministrazione statunitense, parlare di garanzie di sicurezza per l’Ucraina prima di un accordo di pace non ha senso. “Quale pace c’è da garantire se prima non si ha un accordo?”, ha dichiarato Rubio, confermando che la priorità di Trump non è il sostegno incondizionato a Kiev, ma la fine del conflitto alle condizioni che riterrà più opportune.

Di fronte a queste pressioni, Zelensky ha risposto con fermezza, sottolineando che il futuro della leadership ucraina spetta solo al popolo. “Gli americani scelgono il loro presidente, gli ucraini scelgono il loro. Funziona così”, ha detto, replicando anche alle richieste di dimissioni avanzate dal senatore repubblicano Lindsey Graham. Ha poi insistito sulla necessità di ottenere garanzie di sicurezza dagli Stati Uniti, affermando che una tregua senza un impegno concreto di Washington sarebbe troppo rischiosa per l’Ucraina.

Nel frattempo, il primo ministro britannico Keir Starmer ha cercato di smorzare la tensione, contattando entrambi i leader e ribadendo il sostegno incrollabile del Regno Unito a Kiev. Secondo un portavoce di Downing Street, Starmer sta lavorando per trovare una via verso una pace duratura che garantisca sovranità e sicurezza all’Ucraina.

L’incontro alla Casa Bianca ha dunque lasciato più ombre che certezze sul futuro degli aiuti americani a Kiev. Zelensky ha ammesso che senza il sostegno degli Stati Uniti sarà difficile resistere all’aggressione russa, ma il messaggio di Trump è chiaro: prima la pace, poi le garanzie. Se Washington dovesse davvero rivedere la sua strategia, il destino dell’Ucraina e del suo presidente potrebbe subire una svolta imprevedibile.

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