“Signora, non ha niente”. Dimessa dall’ospedale, poco dopo la diagnosi choc sul tumore e la morte
Dramma della malasanità, una storia dai toni scuri quella che arriva da Tolmezzo, comune friulano in provincia di Udine. A denunciare Lucia Gobbi che, al Messaggero Veneto, racconta della scarsa cura con il quale la madre, la signora Diomira di 78 anni, è stata trattata all’interno della struttura ospedaliera cittadina. Racconta come la donna, in preda a dolori lancinanti, sia stata portata lo scorso 20 febbraio in ospedale quando ormai era già troppo tardi e la diagnosi dei medici non lasciva speranze.
Che per piena chiarezza della vicenda torna indietro di un anno e spiega come: “Già a maggio del 2022 –avevamo cercato di farla ricoverare a Tolmezzo, ma secondo i medici non era necessario. Mia madre continuava a stare male e il 4 ottobre abbiamo chiamato l’ambulanza su indicazione del medico di famiglia che aveva anche indicato la necessità di fare degli accertamenti”.
Tolmezzo, diagnosi sbagliata in ospedale muore 78enne
“Ma dopo un’ora e mezza in Pronto soccorso e dopo una visita durata 7 minuti, senza fare analisi, mia madre è stata rimandata a casa, con la diagnosi di un deperimento dovuto ai farmaci”. Poi le situazione della donna erano continuate e peggiorare progressivamente, fino ad arrivare al 20 febbraio quando la figlia, allarmata, ha deciso di chiamare di nuovo l’ambulanza.
E qui la doccia gelata. “L’hanno ricoverata e il giorno dopo mi è stato detto che era in fin di vita. Mi chiedo se con indagini tempestive le si sarebbe potuto evitare tanto tormento”. La diagnosi alla fine è stata inaspettata: tumore diffuso e incurabile. Ma la donna l’ha scoperto solo poco prima di morire, dopo mesi di dolori e sofferenza atroce.
Ora, davanti ad una storia che avrebbe potuto avere un epilogo diverso, la figlia chiede giustizia ed ha bussato alla porta dell’Associazione diritti del malato. “Mia madre soffriva perché stava morendo e io non lo sapevo, avremmo potuto trascorrere quei 4 mesi diversamente, anche attivando le cure palliative a domicilio e, quando mi chiese una sigaretta che le ho negato, gliela avrei data”.