Fu abbandonato dai genitori perché “troppo brutto”, poi la svolta
Essere genitori non è affatto semplice, e quando un bambino nasce con delle malformazioni tutto diventa ancora più complicato: non tutti sono disposti ad accettare la sfida di crescere un bimbo fisicamente menomato o con handicap fisici e cognitivi. Jono Lancaster ne sa qualcosa purtroppo: alla nascita fu abbandonato da mamma e papà perché “troppo brutto”. La sua infanzia ha dunque dovuto subire un trauma molto grave, il quale è molto difficile da superare completamente. Nella maggior parte dei casi sono infatti necessari diversi anni di terapie psichiatriche.
Jono è affetto di una patologia davvero terribile chiamata Sindrome di Treacher Collins, una malattia che non permette la corretta formazione delle ossa e della cartilagine del volto, renendo sostanzialmente sfigurato chi ne è colpito (sebbene nella maggior parte dei casi l’intelligenza si mantenga normale), oltre a provocare disagi respiratori ed uditivi. Le conseguenze di questa sindrome si ripercuotono dunque in maniera chiara e decisiva sulla vita e sulla salute delle persone come Jono. Oltre all’aspetto inerente la salute fisica, anche gli effetti sulla vita relazionale possono essere devastanti. La storia di Jono ne è un chiaro esempio.
Jono era messo talmente male che furono necessarie oltre 70 operazioni di chirurgia per potergli permettere di vivere una vita quanto più possibile normale, sebbene il suo aspetto non potrà mai essere quello di una persona le cui ossa si sono adeguatamente formate. Dopo essere stato dato in affidamento, Jono venne adottato da Jean Lancaster, una coraggiosa donna che seppe farsi carico di un compito tanto gravoso quanto ammirevole: crescerlo ed educarlo come suo figlio. Il senso di responsabilità e di pietà di questa donna sono stati davvero ammirevoli e hanno consentito di alleviare le sofferenze dello sfortunato bambino.
La vita di Jono fu infatti un calvario anche a scuola: gli altri bambini voltavano lo sguardo altrove quando passava, alcuni di loro lo schivavano per paura che quella malattia fosse contagiosa e di poter diventare come lui. “Quando chiesi a mia madre perché si comportavano così, si mise a piangere. Ed io mi sentivo in colpa, non volevo che mia madre piangesse per causa mia“. Queste parole mostrano l’innocenza e la bontà di un bambino incapace di comprendere i motivi di una forzata emarginazione sociale. Dovrebbero costituire uno spunto per una profonda riflessione per molte persone.
Con il tempo però Jono ha saputo accettare la sua condizione, facendo dell’ironia la sua arma migliore, ed oggi è diventato un relatore di fama internazionale specializzato proprio nell’aiutare altri bambini a superare le difficoltà legate a questa sindrome: “Quello che è cambiato è stata la mia attitudine, il mio modo di affrontare il problema: con lo spirito giusto, nulla di è precluso“. Jono è dunque riuscito a cambiare il modo di affrontare le sue difficoltà ed ha cambiato totalmente il corso della sua esistenza.
Il caso di Jono dovrebbe essere portato come esempio virtuoso di un percorso di vita iniziato con enormi difficoltà oggettive e che grazie alla forza emotiva è stato radicalmente trasformato in positivo. Dovrebbe far riflettere diverse persone sulle reali difficoltà che la vita può presentare e sulle quali non si può avere alcun controllo. Nel caso in cui la vita ci presenti delle avversità bisogna sempre assumere un atteggiamento costruttivo che ci aiuti a superare tali eventi nella maniera migliore possibile, uscendone addirittura fortificati come nel caso di Jono.