Oligarchi russi? Ecco quanto quanto ci costa mantenere i loro yacht: sanzioni kamikaze
È che uno fa presto a dire “sanzioni”. Ma poi chi le paga? Anzi, chi le garantisce? Perché qui sembra il gioco delle matrioske, e le matrioske c’entrano pure un po’ troppo. Prendi la Sy A. È un mega yacht da tre alberi e 530 milioni di euro, la Sy A. Attraccata lì dov’ è, cioè al porto di Trieste, si mangia da sola un’intera banchina. Roba che pare una nave da crociera. Una di quelle ultra -lusso, tra l’altro. Appartiene all’oligarca russo Andrey Igorevich Melnichenko, ma da metà marzo è rimasta bloccata con i sigilli della Guardia di Finanza. Colpa della guerra. Dell’invasione di Putin in Ucraina.
È stata sequestrata assieme ai beni dei magnati del Cremlino. La conosciamo a memoria, la storia. Quello che non conosciamo è che Sy A, per starsene a mollo dove sta, ci costa un occhio della testa. Almeno (ma almeno) 150mila euro al giorno tra spese per l’ormeggio, piccole (si fa per dire) manutenzioni, personale di bordo (undici uomini più il comandante che non possono manco scendere a terra), elettricità e acqua potabile.
È tutto a carico nostro, ed è un carico di quelli belli grandi. Che se non ci stai attento son dolori. Tanto che addirittura l’Agenzia del demanio (che dovrebbe amministrarla, la Sy A) se ne sbarazzerebbe volentieri. E infatti ci stanno provando, a disfarsene.
TUTTI I BENI SEQUESTRATI
Lo yacht, fino a un mese fa, batteva bandiera russa. Adesso non più. Sarebbe logico, visto che occupa uno stallo di Fincantieri, che passasse a sventolare l’italico tricolore. Invece no. Rischia (nel senso che l’ipotesi è al vaglio in questi giorni, nulla di fatto ma neanche di intentato) di finire nella flotta della Mongolia. Un Paese tra la Cina e la “Grande madre Russia” che, non sfuggirà l’ironia, non ha nemmeno un affaccio sul mare. Perché? Perché per noi sarebbe troppo oneroso tenercela. E allora la vedi lì, ancorata a Trieste, senza vele issate e che galleggia in un mare di incertezze. Mica è la sola. La lista di beni sequestrati agli oligarchi del cerchio magico moscovita è un elenco che, in confronto, il decalogo di Leporello nel Don Giovanni di Mozart è cosa spiccia. C’è la Lady M, attraccata ad Imperia, di Alexey Mordashov: valore di mercato 65 milioni di euro. C’è il Lena, fermo nel porto di Sanremo, di Gennady Nikolayevich Timchenko: altri 50 milioni tondi tondi. Ci sono le ville in Sardegna di Alisher Usmanov (17 milioni di euro), quelle a Como di Vladimir Rudolfovich Soloviev (otto milioni di euro), quella a Lucca di Oleg Savchenko (tre milioni). E giusto per citare le prime che vengono in mente.
Chiariamoci: colpire Putin dove potrebbe averne più danno (ossia in quegli amici sparsi per mezzo mondo che gli garantiscono, a suon di rubli, potere e impunità) è doveroso. Forse persino sacrosanto. Però il rovescio della medaglia è che, almeno nell’immediato, quelli con le brache bucate siamo noi. Che stiamo sborsando fior di milioni (la manutenzione di una villa tipo di quelle che i russi tengono sulle coste sarde o liguri o toscane costa al Demanio, all’incirca, 350mila euro all’anno). Il congelamento dei beni degli oligarchi è possibile grazie alle decisioni prese dall’Ue a fine febbraio, quando sono state adottate le prime misure. Da noi se ne occupa il Csf, al secolo il Comitato di sicurezza finanziaria del ministero dell’Economia (Mef) e i passaggi (burocratici) sono più o meno questi.