Femminicidio a Firenze, pena dimezzata per l’uomo che ha ucciso la compagna: “Realmente turbato e sconvolto”
È destinata a far discutere la sentenza della Corte d’Appello di Firenze su un femminicidio avvenuto nel 2018: un 32enne, giudicato colpevole in primo grado per l’omicidio della compagna, si è visto ridurre della metà la pena in quanto ritenuto realmente pentito e turbato dalle sue azioni.
32enne strangola la fidanzata: pena ridotta da 30 a 16 anni
Il caso di cronaca risale al 24 novembre 2018: un 32enne originario del Myanmar ha strangolato e ucciso la compagna, 21enne di origini cinesi.
È successo in un ostello di Firenze e subito dopo il fatto l’uomo non sarebbe scappato ma avrebbe subito dato l’allarme. Per questo, i giudici della Corte d’Appello fiorentina hanno deliberato in suo favore, riducendo la condanna da 30 a 16 anni di carcere. Una decisione che farà discutere, specie per la motivazione emersa oggi (la sentenza è del 15 settembre).
Le fonti riportano che i giudici hanno ritenuto l’uomo “realmente turbato e sconvolto dall’azione compiuta“. Il fatto di non aver provato a scappare dopo aver ucciso una donna, per i magistrati è motivo sufficiente per guadare con un occhio diverso al femminicidio di cui si è macchiato.
Femminicidio Firenze, la difesa aveva chiesto l’attenuante della provocazione
“Occorre valorizzare il profilo psicologico del comportamento“, è un’altra frase riportata dalle fonti circa la riduzione di pena per il femminicidio di Firenze. Il fatto di aver dato l’allarme nell’immediatezza del fatto, “vale molto più di tanti pentimenti e richieste di perdono sbandierate in udienza a distanza di giorni se non mesi“. Così è stata accolta l’istanza dell’avvocato Francesco Stefani e concessa l’attenuante generica. La stessa corte ha però invece respinto un’altra attenuante che avrebbe alimentano ancora di più le possibili polemiche contro la sentenza: l’avvocato del 32enne, che ha già annunciato ricorso in Cassazione, aveva infatti richiesto di riconoscere la circostanza della provocazione.
L’uomo aveva infatti riferito che il delitto sarebbe stato commesso dopo presunti soprusi nei suoi confronti. Una posizione che scredita come spesso accade la posizione della vittima specie se donna, ma che non ha trovato d’accordo i giudici dal momento che l’unico testimone è proprio l’omicida stesso.