15 ottobre 2021, scatta il nuovo obbligo per gli italiani
Milano – E’ iniziato ormai il conto alla rovescia per l’entrata in vigore dell’obbligo di Green pass sui luoghi di lavoro pubblici e privati, come previsto dal decreto del 17 settembre. Dopo i ristoranti, i musei, i treni e gli aerei, dal 15 ottobre l’obbligo (e fino al 31 dicembre, quando è prevista la scadenza dello stato di emergenza) sarà esteso in tutte le aziende. Un cambiamento enorme, che andrà a incidere direttamente sulla vita di 23 milioni di italiani, di cui 14 milioni e 700mila impiegati nel settore privato, e che porta con sé dubbi e domande organizzativi e di principio. Mentre ormai è chiaro come si ottiene il certificato verde (ma è meglio fare un ripasso), in molti casi c’è ancora da capire chi e come controllerà i dipendenti? E chi controllerà i controllori, cioè il datore di lavoro e i preposti al controllo? E sul piano più “filosofico”, come si tutela la privacy del lavoratore?
Come si ottiene il Green pass
Il Green pass si ottiene dopo aver effettuato la prima dose o il vaccino monodose da 15 giorni; dopo aver completato il ciclo vaccinale; dopo aver fatto la dose aggiuntiva al primo ciclo di vaccinazione; dopo essere risultati negativi a un tampone molecolare nelle ultime 72 ore o antigenico rapido nelle 48 ore precedenti; dopo essere guariti da COVID-19 nei sei mesi precedenti. Sono esentati dal Green pass solo coloro che sono esentati dalla vaccinazione. Per tutti gli altri diventa obbligatorio o vaccinarsi o fare tamponi ogni 72 o 48 ore. Per questo motivo è stato siglato un protocollo d’intesa con le farmacie per l’esecuzione di tamponi rapidi a prezzo calmierato, 15 euro per gli adulti e 8 per minorenni.
Controlli: ogni giorno o una tantum? A campione o a tappeto?
L’articolo 3 del decreto che impone l’obbligo, prevede che le aziende private si organizzino per definire le modalità operative per effettuare i controlli e individuare i soggetti incaricati dell’accertamento. I controlli saranno effettuati preferibilmente all’accesso ai luoghi di lavoro e, nel caso, anche a campione. Le sanzioni per chi accede senza Green pass vanno dai 600 a 1.500 euro, mentre per il datore di lavoro che non controlla si va da 400 a 1.000 euro.
Ma proprio qui si apre un grosso punto di domanda che riguarda, da un lato l’organizzazione e l’efficienza dei controlli, dall’altro il rispetto della privacy. Perché è evidente che se la ratio della regola che introduce l’obbligo è quella di avere nei luoghi di lavoro persone non contagiate, è ovvio che il controllo debba avvenire esclusivamente all’accesso e non a campione. La norma lascia dunque una discrezionalità che mal si concilia con l’obiettivo. Ma c’è di più: c’è un probema di privacy, perché il lavoratore non è tenuto né a dire la durata del Green pass né l’evento che l’ha generato. Quindi i datori di lavoro dovrebbero controllare tutti i giorni le certificazioni dei dipendenti, non potendo tenerle registrate una volta per tutte.
Il nodo della privacy
L’allarme è lanciato dalla Confederazione Nazionale Piccole e Medie Imprese e dal suo presidente Roberto Capobianco, in audizione in commissione Affari costituzionali del Senato in vista della conversione in legge del DL 127/2021 sull’estensione dell’obbligo del Green pass dal 15 ottobre. “Per evitare che il 15 ottobre sia un venerdì nero, chiediamo al Governo un provvedimento urgente che imponga ai lavoratori del settore privato di comunicare al datore di lavoro le proprie intenzioni almeno uno o due giorni prima del 15 ottobre. Se, cioè, vogliano sottoporsi a vaccino oppure al tampone. Non possiamo rischiare il caos in azienda”. “Sempre sulle modalità di verifica, c’è poi un altro punto fondamentale da chiarire: il decreto lascia spazio a interrogativi e dunque a interpretazioni da parte degli enti di controllo. L’azienda in buona fede non può rischiare di essere sanzionata a causa della vaghezza della norma. In tal senso devono anche essere meglio esplicitate le modalità di verifica a campione, sempre per evitare che l’azienda sia sottoposta a sanzioni”, ha aggiunto. E ancora, per Conflavoro Pmi, infatti, bisogna evitare rallentamenti in azienda e una superflua (quantomeno in caso di vaccino) reiterazione dei controlli. E’ quindi necessario che il responsabile delle verifiche possa registrare la data di scadenza del Green pass, andando in deroga a quanto previsto dalla privacy attuale.
Cosa succede se non ho il Green pass
Per chi non ha il pass non ci sarà la sospensione per i lavoratori del privato e del pubblico sprovvisti (come previsto in una prima versione del decreto): i lavoratori perderanno “solamente” lo stipendio fino a quando non si saranno allineati alla nuova norma. E fino a quel momento? Nelle aziende con meno di 15 dipendenti il datore di lavoro può prevedere una sostituzione per un massimo di 20 giorni. Ma anche su questo tema le Pmi chiedono di andare oltre: “Conflavoro pmi chiede di estendere questa possibilità anche alle aziende sopra i 15 dipendenti in modo da garantire a qualsiasi azienda la continuità operativa. Non c’è motivo giuridico per non farlo. Di contro, ci sono invece 3,5 milioni i lavoratori del settore privato ancora sprovvisti di certificazione verde, pari a circa il 25% del totale, quindi non possiamo limitare la sostituzione del lavoratore sospeso. Pertanto, il contratto di sostituzione è necessario sia rinnovabile a oltranza fino al 31 dicembre 2021, anche perché spesso al lavoratore serve una specifica formazione e c’è bisogno di tempo per inserirlo a regime nel sistema produttivo”.