Choc in strada, ucciso a colpi di pistola davanti alla moglie incinta di otto mesi
Choc a Ponticelli, quartiere della periferia orientale di Napoli. Un ragazzo di 23 anni, Carmine D’Onofrio, è stato ucciso con 7 colpi di pistola davanti alla fidanzata di 8 mesi. Trasportato d’urgenza al Pronto Soccorso di Villa Betania è morto poco dopo. A quanto si apprende potrebbe essersi trattato di una vera e propria esecuzione. Scrive Fanpage come un i sicari sia siano appostati davanti casa sua fino alle 2 di notte, quando il ragazzo è tornato.
Contro Carmine D’Onofrio sono stati esplosi 7 colpi calibro 45. Ucciso come un boss pure la vittima non sembra avere nulla a che fare con la malavita organizzata. Carmine D’Onofrio portava comunque un nome pesante. Era il figlio illegittimo di Giuseppe De Luca Bossa, fratello di Antonio, detto Tonino ò sicco, boss ergastolano che dal carcere continua a comandare e a gestire estorsioni e traffici di droga.
Carmine D’Onofrio, forse è stata una vendetta
Un omicidio, questo di Carmine D’Onofrio, che equivale ad una dichiarazione di guerra. Colpendo quell’obiettivo facile si è voluto infliggere il lutto alla famiglia che scalpita per assumere l’egemonia assoluta nel quartiere. Le indagini sono affidate ai carabinieri della Compagnia di Poggioreale e a quelli del Nucleo Investigativo di Napoli, quella della vendetta trasversale è, allo stato attuale, una delle ipotesi seguite dagli inquirenti.
Dietro la morte di Carmine D’Onofrio, riporta il Messaggero, potrebbe esserci la regia del clan De Micco. A quest’ultimo era indirizzata la bomba che è stata fatta esplodere pochi giorni fa in via Luigi Piscettaro, ferendo una donna e il figlio di 14 anni che si trovava in uno degli appartamenti ai piani più bassi dell’edificio.
Da mesi Ponticelli si è trasformata nel teatro di una faida violentissima. Dopo l’omicidio di Carmine D’Onofrio, l’associazione di promozione sociale fondata da don Luigi Ciotti ‘Libera Campania’ auspica che lo Stato intervenga. “Serve un segnale concreto, efficiente ed efficace per non lasciare sole le reti sociali, culturali e civiche che denunciano e resistono al ricatto e alla violenza delle camorre nel quartiere. E che quotidianamente non rinunciano alla possibilità di cambiare il luogo che si ama e si abita, anche quando tutti fanno finta di non accorgersene”.