“Vuol essere arrestato? Uccise la mia famiglia ora vada pure in cella”
«Arrestate me, invece che mio figlio Ciro». Così Beppe Grillo nel video-arringa dove difende il suo rampollo dalle accuse di «stupro di gruppo». Che il comico genovese si sia deciso a pagare davvero con la galera le sue colpe? Perché mentre Grillo si mostra alle telecamere come un padre disperato, c’è una bambina, oggi diventata donna, e una famiglia che per colpa sua piangono davvero da quarant’anni.
È Cristina Pozzi che, per la prima volta in questa intervista esclusiva, ha deciso di rivelare il proprio nome e cognome: «La cattiveria del Grillo uomo, che ha distrutto la mia infanzia e la mia gioventù ora non mi fanno più paura. Beppe Grillo ha ucciso la mia famiglia: era il 21 Dicembre 1981, io ero rimasta a casa a giocare ma mio padre Renzo, mia madre Rossana e mio fratellino Francesco non li ho mai più rivisti. Erano a bordo della jeep Chevrolet di Grillo: lui si è salvato, la mia famiglia è morta per colpa sua». La storia è nota ma ancora poco conosciuta rispetto al delitto: in quel 1981, con il comico all’apice del successo, Grillo si fece ospitare dall’amico di infanzia Renzo Giberti, 45 anni, e dalla moglie Rossana Quartapelle, 35 anni, nella loro villa in montagna a Limone Piemonte. Grillo insistette molto, dopo pranzo, per raggiungere i 3000 metri di quota con la sua nuova jeep, che aveva fatto appena arrivare dall’America. Secondo i testimoni non la sapeva guidare: sì testimoni, perché Grillo è stato condannato nel 1985 in Corte d’appello per omicidio plurimo e nel 1988 ritenuto responsabile anche dalla Corte di Cassazione. Solo lui si salvò: aprendo la portiera e lanciandosi sulla strada mentre la jeep proseguiva la folle corsa precipitando in un burrone. La condanna fu di «un anno e due mesi di reclusione con sospensione della patente di guida per eguale periodo di tempo», pena poi condonata perché era incensurato. Grillo difendendo il figlio ripete più volte che se è davvero uno stupratore deve essere arrestato, ma questo suo precedente smentisce la sua arringa. Non ha mai fatto un giorno di prigione, mentre la prigione del dolore non è stata è «condonata» alla famiglia degli uccisi.
La piccola Cristina fu adottata dalla zia Maura Quartapelle: anche lei decide di parlare per la prima volta ricordando che quella tragedia in cui perse la sorella, il cognato e il nipotino di 9 anni, ha sempre segnato la sua vita: «Non ci fecero vedere neanche i cadaveri. Ci misero due giorni e due notti per ritrovare il mio nipotino: era incastrato, a pezzi, sotto la jeep. E dire che era proprio a fianco di Grillo: giocava con una macchinina della Range Rover che Grillo stesso gli aveva regalato quel giorno. Sarebbe bastato allungare una mano e l’avrebbe salvato. Mio cognato Renzo Giberti – stimato imprenditore di Genova – lo trovarono con mezzo cervello fuori, come mia sorella, che mi dissero, era completamente irriconoscibile». «Grillo – continua Maura Quartapelle – malgrado le insistenze di mio cognato che conosceva le strade, volle per forza usare la sua jeep che guidava pochissimo. Non sapeva neanche scalare le ridotte. Quando arrivai a Limone Piemonte il giorno dopo, Grillo era già andato via: neanche una parola, una scusa: niente. Non venne neanche ai funerali a Genova e mentre sui giornali dell’epoca si diceva distrutto, dopo neanche un mese dalla morte di tre persone aveva già ripreso gli spettacoli nei teatri».
Cristina Pozzi, la bambina rimasta orfana a 7 anni, ricorda bene Beppe Grillo perché «veniva sempre a casa mia e andava a vedere il Genoa con il mio papà. Io l’ho cercato, ma invano. Volevo almeno che mi raccontasse gli ultimi attimi di vita dei miei genitori, che mi desse pace, che mi chiedesse almeno scusa. Poi con il tempo – non ho mai preteso nulla da lui e non voglio farmi pubblicità, non intendo diventare un caso mediatico – ho solo deciso, adesso che ho raccontato la verità ai miei due figli, di non vergognarmi più». «Perché Beppe Grillo – ci confessa – è stato capace, con il suo silenzio, di farmi sentire in colpa: Perché non c’ero? Perché ero rimasta a casa? Avrei potuto salvarli?».
Grillo, malgrado le dichiarazioni sui giornali del 1981 da prima pagina «Adotterò Cristina», non si è mai fatto vivo. Il dolore è sempre stato quotidiano, ma ora Cristina Pozzi non ha più paura di Beppe Grillo: «Ogni volta che lo vedo in televisione o lo sento parlare vedo un uomo – condannato dal tribunale per l’omicidio dei miei familiari – che non ha scontato neanche un giorno di galera. Adesso chiede di essere arrestato al posto del figlio? Bene: è ora che paghi la sua condanna. Sta vivendo la condanna della vita: perché prima o poi la vita ti presenta il conto e non c’è coscienza che possa sfuggire».
Veronica Pozzi ricorda la cugina che d’improvviso si ritrovò sorella: «Cristina aveva gli incubi nei primi mesi, si è portata dentro questo dolore tanto, troppo tempo. La nostra non è una vendetta o un accanirci sulle disgrazie del figlio, ma vedendo il video abbiamo ritrovato lo stesso uomo, lo stesso tentativo di far sentire in colpa le vittime. La mia famiglia è rimasta dilaniata da quegli omicidi impuniti: mio fratello Matteo è rimasto segnato da questa vicenda tanto da tentare più volte il suicidio sino alla morte». «Un politico? – conclude Cristina Pozzi -. Non lo so, non mi interessa. Mi interessa solo dire: Caro Beppe, mi hai ridotto con il tuo colpevole silenzio a essere Cristina tutta la vita. Ora sono Cristina Pozzi e sono madre di due figli splendidi». Il resto è cronaca e tribunali, ma la storia della famiglia Pozzi Quartapelle, sentita interamente al telefono, provoca i brividi. Quei brividi che la carta di un giornale non sempre riesce a trasmettere, ma quello che è evidente è che almeno una donna in Italia si è liberata definitivamente dei Grillo: Cristina Pozzi.