“Letti soltanto a chi può farcela”. Le scelte choc in terapia intensiva
Il cambio di passo nella campagna di vaccinazione attuato dal Commissario straordinario all’emergenza Covid, generale Francesco Paolo Figliuolo, permetterà tra qualche mese di raggiungere il tanto agognato obiettivo dell’immunità di gregge che consentirà di mettere la parola fine all’incubo coronavirus che ormai dura da oltre un anno.
La luce in fondo al tunnel, quindi, si intravede. Il cammino, però, è ancora lungo e ricco di ostacoli. Perché se si può pensare al futuro con maggiore serenità vi è da affrontare un presente particolarmente difficile e carico di sofferenze. Una prova della complessa situazione sanitaria può essere rappresentata da quanto sta accadendo nel reparto Covid dell’ospedale San Pietro Fatebenefratelli di Roma.”Un mese fa avevamo posti a iosa. Ora siamo pieni”, ha raccontato al Messaggero Simone Bianconi, pneumologo e direttore del centro Covid dell’ospedale sulla Cassia. E quel “pieni” significa che il presidio sanitario è in difficoltà. Al punto che, come fa capire lo stesso Bianconi, quando arrivano i pazienti bisogna decidere a chi lasciare il posto in terapia intensiva.
“Di fatto, si fanno delle scelte – riprende il professore-. A quella età le possibilità che tu possa uscire da una gravissima insufficienza respiratoria sono bassissime. Noi la terapia intensiva la riserviamo alle persone che possono avere una chance di uscirne”. È già capitato di dover prendere decisioni simili. Pochi giorni fa, ad esempio, è toccato ad una signora di 94 anni, contagiata dagli operatori no-vax nella casa di riposo di Fiano Romano.
I dati nazionali
I problemi legato ai posti occupati nelle terapie intensive, in realtà, riguardano tutto il territorio nazionale. In Italia i numeri, infatti, mostrano andamenti altalenanti. Ieri, come emerge dal bollettino diffuso dal ministero della Sanità, è sceso il numero dei pazienti (-5) ricoverati per un totale di 3.716 letti pieni in rianimazioni. Il saldo degli ingressi del giorno è di 269. Ma il dato va preso con le molle. Perché per la terza settimana consecutiva i dati dei ricoveri dei pazienti Covid sono oltre la soglia critica. Secondo il monitoraggio di Agenas, la percentuale di posti letto di terapia intensiva occupata da pazienti Covid-19 è al 41% (+1%), a fronte di una soglia critica fissata al 30%, mentre la percentuale di posti letto in area non critica occupata da pazienti Covid-19 è al 44% (+1%), con la soglia critica al 40%. Sono 12 le Regioni oltre la soglia critica dei ricoveri in terapia intensiva, più la provincia di Trento mentre la Valle d’Aosta è al 30% di occupazione. Le altre 6 Regioni e la Provincia di Bolzano sono sotto la soglia. La ituazione peggiore è quella della Lombardia al 61%, seguita dalle Marche al 60% e dal Piemonte al 58%. Ancora, molto sopra soglia: Emilia Romagna (52%), Provincia autonoma di Trento (51%), Friuli Venezia Giulia (49%), Puglia (44%), Umbria (43%), Toscana (42%), Lazio (40%), Molise (38%), Abruzzo (36%), Liguria (32%). Al 30%, invece, la Valle d’Aosta, mentre le altre Regioni sono tutte sotto il livello critico.
In Liguria “un pò di aumento c’è stato ma non con dati drammatici. Noi abbiamo maggiore pressione nella riviera di ponente Imperia e Ventimiglia e le corrispondenti Asl 1 e 2, già da qualche settimana. Si è un po’ spalmato sulle altre Asl. Attualmente i pazienti in terapia intensiva in Liguria sono 72, forse qualcuno di meno oggi. Non è un numero enorme ma qualche movimento in piu lo abbiamo osservato”, ha spiegato all’Adnkronos Angelo Gratarola, il direttore del Diar Emergenze Urgenze della Liguria, facendo il punto della situazione sulle terapie intensive alla luce dell’aumento dei contagi covid registrato a livello nazionale. Quest’ultimo ha ricordato che la prima soglia “è quella di 67 pazienti, che dovrebbe corrispondere al 30% circa di occupazione. Ieri eravamo al 31%, oggi potrebbe essere qualcosa di meno ma siamo comunque intorno a quella percentuale”.
La situazione al San Pietro-Fatebenefratelli di Roma
Nel corso della sua intervista al Messaggero, Bianconi ha ribadito che la scelta su chi assegnare il posto in terapia intensiva, però, non è legata solo all’età del paziente. Bianconi, infatti, sottolinea che si decide “caso per caso, non è una questione meramente anagrafica. Certo, un ultra-novantenne è veramente anziano. Un soggetto più giovane può avere delle possibilità”. Lo pneumologo precisa, poi, che “non è che una persona molto anziana col Covid sia destinata al decesso, ma lo deve avere in una forma lieve, simile a un raffreddore” perché se tale soggetto sviluppa una polmonite con un’insufficienza respiratoria grave “le possibilità sono scarsissime”. “Per un paziente di 90 anni o più- ha aggiunto- è anche una questione di eticità: portarlo in terapia intensiva significa sedarlo e far sì che il respiratore sostituisca il suo apparato respiratorio. Poi tornare indietro è molto difficile”.
I progressi
Bianconi evidenzia che rispetto alla prima ondata molto è cambiato in termini di cure. “Oggi usiamo altri farmaci, non somministriamo più l’idrossiclorochina, per esempio, mentre sfruttiamo l’eparina. Sono cambiati i tempi di intubazione. Quando è arrivato, il Covid-19, era un male sconosciuto. Oggi lo è molto meno”. Eppure la situazione sanitaria negli ultimi tempi si è aggravata a causa delle varianti che rendono Covid molto più aggressivo e, di conseguenza, pericoloso. Non è un caso, quindi, che sempre più sono i giovani colpiti dal nemico invisibile. In base all’esperienza conseguita sul campo, lo pneumologo evidenzia che la variante inglese”oltre ad essere sicuramente più contagiosa sembra avere un tasso di aggressività maggiore. A ottobre il 50enne col Covid spesso se la cavava con una forma simile a un’influenza. Ora invece ha molte più possibilità di sviluppare una polmonite con un’insufficienza respiratoria grave”. Non solo adulti e persone avanti con gli anni vengono duramente colpiti dal coronavirus. “Stiamo ricoverando anche 20enni che hanno bisogno dell’ossigenoterapia. A ottobre non capitava”, ha inoltre spiegato il professore.
Vi è poi la questione dell’organico, a volte insufficiente per affrontare l’emergenza. “Noi abbiamo dovuto sottrarre il personale della rianimazione alle attività ordinarie, chiudendo le sale operatorie, che ormai restano attive soltanto per le urgenze o per i tumori. Tutto il resto è stato chiuso”, ha ricordato Bianconi che ha anche evidenziato come non si sia riusciti “a fare assunzioni”.
I pazienti
Lo pneumologo racconta anche che la crescita dei posti letto è costante eppure “ora siamo pieni”. Per questo “ogni giorno dobbiamo dimettere pazienti per creare spazio. È un equilibrio molto delicato, molto sottile. Se penso a 30 giorni fa, avevamo posti in abbondanza. Ora siamo saturi”. I posti letto a disposizione sono 52 ma “eravamo partiti da 20 quando abbiamo aperto, a marzo di un anno fa. Sono 40 letti nel reparto Covid ordinario, più 4 posti di terapia intensiva e altri 8 in sub-intensiva”.
Prevenzione e vaccinazione sono le armi contro il coronavirus. Le dosi del farmaco da somministrare per immunizzare la popolazione pare che stiano già dando i primi frutti. Secondo Bianconi, infatti, oggi vengono ricoverati pochi ultra-ottantenni mentre a marzo e ad aprile 2020″erano la maggioranza, quasi tutti dalle Rsa”. Allo stesso tempo, però, per quanto riguarda la pressione ospedaliera ancora “non beneficiamo dell’effetto della campagna di vaccinazione. Abbiamo ancora tanti ricoveri, anche se l’età media si è molto abbassata. Oggi la maggior parte ha intorno ai 50-60 anni. C’è chi finisce in terapia intensiva anche a 52. Prima era molto più raro”. Per fortuna tanti sono i pazienti che guariscono, anche grazie alle cure dei medici e degli infermieri.
Resistere ancora qualche mese. Poi, con la campagna di vaccinazione di massa, la storia cambierà. E l’incubo Covid, seppur impossibile da dimenticare, sarà finalmente alle nostre spalle.