Laura Boldrini, i racconti delle sue ex collaboratrici: “Malpagate e maltrattate. E poi dice che tutela le donne”

I racconti delle sue ex collaboratrici sono agghiaccianti. Il ritratto che fanno di Laura Boldrini è inquietante. La ex presidente della Camera che da sempre si batte per la tutela delle donne, per la parità di genere, per i diritti umani, in realtà, parla bene e razzola malissimo. In un articolo su Il Fatto quotidiano vengono raccolte queste testimonianza. Si parte da Lilia, collaboratrice domestica moldava che “si è dovuta rivolgere a un patronato della Capitale perché la sua datrice di lavoro per otto anni, la Boldrini appunto, dopo dieci mesi dalla rottura del contratto, non le pagava la liquidazione.

“A maggio dello scorso anno ho dovuto dare le dimissioni perché la signora, dopo tanti anni in cui avevo lavorato dal lunedì al venerdì, mi chiedeva di lavorare meno ore, ma anche il sabato. E io ho famiglia, dovevo partire da Nettuno e andare a casa sua a Roma, per tre ore di lavoro”, racconta Lilia. “Siamo rimaste che faceva i calcoli e mi pagava quello che mi doveva, non l’ho più sentita. Io sono andata al patronato, ho fatto fare da loro i calcoli. La sua commercialista mi ha detto che mi contattava e invece è sparita”. E conclude: “Mi dispiace perché non sono tanti soldi, circa 3.000 euro, forse è rimasta male che non abbia accettato di andare il sabato. Io ero dispiaciuta”.

C’è poi la testimonianza di Roberta, una sua ex collaboratrice parlamentare: “Ho lavorato due anni e mezzo con la Boldrini e posso dire che ho tre figli, partivo il martedì alle 4.30 da Lodi per Roma, lavoravo per tre giorni 12 ore al giorno, dalla mattina presto alle nove di sera. Per il resto lavoravo da casa, vacanze comprese. Guadagnavo 1.200/1.300 euro al mese, da questo stipendio dovevo togliere costi di alloggio e dei treni da Lodi”. Roberta era “assunta come collaboratrice parlamentare e pagata quindi dalla politica per agevolare il lavoro di un parlamentare, ma il mio ruolo era anche pagare gli stipendi alla colf, andarle a ritirare le giacche dal sarto, prenotare il parrucchiere. Praticamente facevo anche il suo assistente personale, che è un altro lavoro e non dovuto. Dovevo comprarle trucchi o pantaloni. Lei ha una casa a Roma, quando rimaneva sfitta io portavo pure gente a vedere l’appartamento o chiamavo le agenzie immobiliari. Per questi problemi con la colf bisognava ricostruire tutti i suoi pagamenti, un’ansia pazzesca”.

Racconta ancora Roberta: “A maggio, finito il lockdown, ho chiesto di rimanere in smart working anche perché ho tre figli, di cui uno che si era ammalato seriamente che doveva essere operato. Di treni poi ce n’erano pochi e costosissimi. Lei mi ha risposto che durante il lockdown con lo smart working avevo risparmiato”, “ho dato le dimissioni sfinita”. Quindi affonda: “Chiede di essere eletta perché dice che la sua politica tutela le donne e poi chi lavora con lei non si sente tutelata. Io mi sentivo senza più autostima, pensavo di essere capace solo di prenotare alberghi e fare fotocopie, ora faccio un lavoro che mi gratifica”.

Infine, un’altra sua ex collaboratrice conferma: “Tutti i giorni scrive post sui bonus baby-sitter o sui migranti in mare, poi però c’erano situazioni non belle in ufficio. O capricci assurdi. Se l’hotel che le veniva prenotato da noi era che so, rumoroso, in piena notte magari chiamava urlando. Poi magari non ti parlava per due giorni. Io credo che ritenga un privilegio lavorare con lei, questo è il problema. Chiarisco però che alcuni dipendenti li tratta bene, specie chi la adula o chi si occupa della comunicazione, perché quello è il ramo che le interessa di più”.

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