“Così tutela il sacro vincolo”. Ecco le regioni dietro la riforma del Papa
La cosiddetta riforma del processo breve per la nullità matrimoniale voluta da papa Francesco continua a far discutere. Tra chi teme che la nullità matrimoniale possa divenire raggiungibile con una certa facilità e chi invece difende strenuamente la linea del Santo Padre, questa riforma “nascosta”, per così dire, rimane dibattuta.
Si tratta di un argomento tecnico. Quindi per comprendere appieno cosa stia accadendo non possiamo che avvalerci del parere di un esperto della materia, come nel caso di don Gianluca Belfiore, che è incaricato presso l’arcidiocesi di Siracusa e che, tra i vari incarichi ricoperti, è stato Officiale per la Sezione per gli Affari Generali per la Segreteria di Stato. Il curriculum di don Belfiore, a dire il vero, è davvero lungo. Quello che rileva in questa circostanza è la sua assoluta e riconosciuta preparazione di don Belfiore in materia di diritto canonico.
Che cosa ha riformato papa Francesco?
Nella grande stagione sinodale degli anni 2014-2015, il Santo Padre ha potuto raccogliere l’eco di tutte le Chiese del mondo circa la situazione de ‘l’enorme numero di fedeli che, pur desiderando provvedere alla propria coscienza, troppo spesso sono distolti dalle strutture giuridiche della Chiesa a causa della distanza fisica o morale’ (dal Proemio del m.p. Mitis Iudex Dominus Iesus). Si tratta di cristiani afferenti a quelle che papa Francesco chiama “famiglie ferite” e che o non si rivolgevano ai Tribunali ecclesiastici ritenendo i giudizi troppo costosi e/o troppo lunghi, oppure, quando vi avessero fatto ricorso, “a motivo della ritardata definizione del giudizio, il cuore dei fedeli che attendono il chiarimento del proprio stato” si trovava “lungamente oppresso dalle tenebre del dubbio”. Per tali ragioni, il Santo Padre ha riformato i processi per la dichiarazione di nullità dei matrimoni.
Perché non è più facile ottenere la nullità del matrimonio?
Tengo anzitutto a dire che papa Francesco, nonostante alcune contrarie sollecitazioni in sede sinodale, ha ritenuto di mantenere la via giudiziale per le nullità matrimoniali, per “tutelare in massimo grado la verità del sacro vincolo”. Bisogna chiarire che esito di tali giudizi sono pronunce dichiarative della nullità e non di “annullamenti”, come spesso si sente dire. Il matrimonio, cioè, o è nullo da principio e, dunque, viene dichiarato tale, oppure rimane valido. E i criteri (tecnicamente detti “capi”) per cui il matrimonio può essere dichiarato nullo non sono stati modificati: impedimenti, vizi del consenso, vizi di forma. È cambiata la legge processuale, non quella sostanziale. E oggi come ieri il giudice perché possa pronunciarsi affermativamente (pro nullitate) dovrà formarsi una certezza morale sulla base delle prove esperite in giudizio.
In cosa è cambiata la legge processuale?
Anzitutto, adesso basta che in un solo grado di giudizio sia stata dichiarata la nullità, perché – se tale pronuncia non fosse impugnata – le parti possano ottenere la libertà di stato (prima erano necessarie due sentenze conformi pro nullitate). Poi, perché ogni Diocesi possa avere un suo Tribunale, è stato consentito che le cause vengano trattate da un giudice unico sotto la responsabilità del Vescovo diocesano e non più necessariamente da un collegio di tre giudici. Quando, poi, la nullità sia manifesta e le parti siano concordi nel richiederla, è possibile accedere ad un processo più breve, in cui giudice sarà il Vescovo diocesano.
I vescovi sono diventati nuovi giudici?I Vescovi non sono “diventati” giudici, lo sono sempre stati. Questo è attestato tanto dalla Storia del Diritto, con l’istituto della episcopalis audientia, quanto dal Magistero ecclesiastico ribadito nel Concilio Vaticano II. In particolare, il Santo Padre ha offerto una chiarissima lettura di Lumen gentium 27 nel Proemio del m.p. in parola, secondo cui i “Pastori delle Chiese particolari […] hanno il sacro diritto e davanti al Signore il dovere di giudicare i propri sudditi”. Nel caso del processo più breve cui sopra accennavo, tale potestà del Vescovo diocesano non può essere delegabile, dovendo egli stesso pronunciare personalmente la sentenza.
Che cosa si intende per integrazione dei giudizi matrimoniali nella pastorale familiare?
I tribunali ecclesiastici offrono un servizio prettamente pastorale, cioè legato al mandato che Cristo ha dato ai suoi apostoli (e quindi al Collegio episcopale che succede loro) di pascere il popolo loro affidato. A chiare lettere, il Papa afferma ciò nel Proemio del m.p., secondo cui “il Vescovo […] è tenuto a seguire con animo apostolico i coniugi separati o divorziati, che per la loro condizione di vita abbiano eventualmente abbandonato la pratica religiosa”. Non c’è, infatti, una cesura fra la dimensione pastorale dell’accompagnamento delle coppie ferite e la dimensione dell’accertamento della verità del vincolo. Se, infatti, è vero che non tutti i matrimoni “falliti” sono matrimoni nulli, è anche vero che nell’ambito dell’accompagnamento di tali coppie potrà verificarsi che ci si accorga della sussistenza dei presupposti per iniziare un procedimento giurisdizionale. A tal proposito, ad ogni diocesi è stato richiesto di dotarsi di un servizio pastorale pregiudiziale “che accoglie nelle strutture parrocchiali o diocesane i fedeli separati o divorziati che dubitano della validità del proprio matrimonio o sono convinti della nullità del medesimo …orientato a conoscere la loro condizione e a raccogliere elementi utili per l’eventuale celebrazione del processo”.