Dai centri d’accoglienza allo spaccio di droga. I nigeriani e gli albanesi si sono presi Roma e spadroneggiano
Un patto tra criminalità organizzata nigeriana ed albanese per portare la droga, soprattutto marijuana, dall’Albania a Roma, per poi venderla nel resto della Penisola e in Europa, utilizzando i richiedenti asilo ospiti dei centri di accoglienza della Capitale come corrieri. È quanto emerge da un’inchiesta dei carabinieri, svolta in collaborazione con lo S.C.I.P., la polizia albanese e quella tedesca, che ha portato, grazie ad un’ordinanza emessa dal Gip del tribunale di Roma su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, all’arresto di 55 persone, 27 albanesi, 23 nigeriani, 4 italiani e un gambiano, responsabili, a vario titolo, di appartenere a tre distinte associazioni, finalizzate al traffico, produzione e detenzione illeciti di droga, e di falsità per induzione in errore del pubblico ufficiale.
Tutto inizia nel 2018, quando un nigeriano viene fermato davanti al capolinea dei pullman in partenza dalla stazione Tiburtina. In mano ha un regolare biglietto. Nello zaino, quasi due kili e mezzo di marijuana. Gli arresti si moltiplicano. In soli tre mesi, da gennaio a marzo del 2019, davanti alla “Tibus”, l’autostazione dei pullman, vengono fermate 36 persone e sequestrati 200 chili di erba.
Nel giro di due anni, come si legge nell’ordinanza del Gip, il gruppo trasforma Roma nel “centro di smistamento di tonnellate di marijuana, che vengono convogliate nel territorio romano per essere poi dirottate in tutta Italia e finanche all’estero, in Germania e Austria”. Dall’aprile del 2018 allo stesso mese del 2019, finiscono in manette 83 persone e vengono confiscati 481,582 chili di erba, che presentava le stesse identiche modalità di confezionamento e che al dettaglio avrebbe fruttato circa 2.5 milioni di euro.
I “corrieri” reclutati nei centri di accoglienza
La maggior parte dei corrieri è giovane, incensurata e viene reclutata dai connazionali nigeriani direttamente nei centri di prima accoglienza. Quasi tutti sono in possesso dello status di “rifugiato politico” ed erano stati foto segnalati per la “richiesta della protezione internazionale”. Il quartier generale dei nigeriani è nella zona sud della Capitale:Torre Angela, Tor Bella Monaca, Borghesiana, Castelverde, Ponte di Nona.
Uno dei boss abitava proprio nel centro Sprar di via della Riserva Nuova, salito all’onore delle cronache in più di un’occasione per il temperamento degli ospiti, che lo scorso ottobre, dopo la scoperta di alcuni casi di Covid, avevano dato vita ad una vera e propria rivolta per violare la quarantena e l’isolamento imposto dalla Asl.
L’inchiesta dei carabinieri ha confermato, quello che i residenti del quartiere avevano denunciato ai nostri microfoni già dalla scorsa estate, e cioè che la struttura si era trasformata in una vera e propria “piazza di spaccio di droga, anche al dettaglio”.
Trolley e biglietto del bus: così la droga arrivava in tutta Italia
Il sistema di importazione e smercio della droga viene descritto come “efficiente” e “collaudato”. Lo stupefacente arrivava sulle coste pugliesi da Valona, in Albania. Qui la marijuana veniva confezionata sottovuoto, avvolta nel cellophane e ricoperta con del nastro adesivo colorato, che cambiava a seconda del quantitativo. Ad acquistarla, dalla Capitale, era il sodalizio di nigeriani, che da due basi logistiche al Casilino, precisamente in via Melicucco e via Villafranca Tirreno, la facevano arrivare in tutta Italia e in Europa attraverso i connazionali, dopo aver preso accordi con la rete di intermediari presenti nelle città della Penisola.
Dopo aver concordato con la cellula romana quantitativo e prezzo, il referente nigeriano inviava nella Capitale il corriere, quasi sempre giovane, reclutato nei centri di accoglienza. Una volta arrivato a Roma gli veniva consegnata la droga. Sempre il gruppo romano si occupava del viaggio di ritorno, acquistando il biglietto per il treno o il pullman, e, nel caso di quantitativi importanti, scortando la persona fino a Tiburtina.
L’ombra della mafia nigeriana
Tra i nomi degli arrestati c’è anche quello di Alice Sebaste, cittadina tedesca, all’epoca 33enne e sposata con un nigeriano che era già finito dietro le sbarre a Macerata, la città dove fu trovata morta Pamela Mastropietro, per essere coinvolto in un vasto giro di spaccio.
Quando è stata fermata dai carabinieri, intenta a trasportare nella sua auto 11 chili di marijuana, nascosta nei pannolini dei figli, era con due nigeriani, che probabilmente avevano il compito proprio di scortarla alla stazione. Finisce in carcere ad agosto del 2018. Un mese dopo, a Rebibbia, uccide i suoi due figli, uno di un anno, l’altro di 18 mesi, lanciandoli dalle scale. Qualcuno ipotizza che alla base del gesto ci fossero le minacce ricevute dalla “mafia nera“.
Leggi la notizia su Il Giornale