“Non si può far passare il principio di salvare i migranti dai libici”
Dalla decisione del gup di Ragusa di prosciogliere dalle accuse mosse dalla procura iblea Marc Reig Creus, comandante della Open Arms dell’omonima Ong spagnola, e Ana Isabel Montes Mier, capo missione e Sar Coordinator di Open Arms, di violenza privata e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, al sentirsi legittimati a raccogliere migranti al largo delle coste libiche per condurli in Italia potrebbe essere un attimo.
Il gup infatti scrive: «I migranti soccorsi dalla Open Arms avevano diritto non solamente ad essere salvati da un possibile naufragio, ma anche di essere condotti in un luogo sicuro. La Libia non può considerarsi tale».
«Se passerà il principio che si debbano salvare i migranti non solo da un possibile naufragio quanto dai libici commenta il procuratore di Ragusa, Fabio D’Anna – si rischia che chiunque possa organizzarsi per traghettare migranti in Italia non necessariamente per finalità esclusivamente umanitarie». Il procuratore ha chiesto che la Corte d’Appello di Catania annulli la sentenza di proscioglimento e disponga il rinvio a giudizio del comandante e della capo missione davanti al tribunale di Ragusa per avere costretto «le autorità italiane (e per esse il Capo del Dipartimento delle Libertà civili e immigrazione del Ministero degli Interni, deputato all’indicazione del Pos) a concedere l’approdo in un porto italiano per sbarcare i 216 migranti» e per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina avendo introdotto in Italia i migranti soccorsi il 18 marzo 2018 in 2 eventi Sar in zona libica.
In breve, anche a Ragusa, indirettamente rispetto all’udienza preliminare celebratasi ieri nell’aula bunker di Catania, con l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini accusato di sequestro di persona per il ritardo dello sbarco di 131 migranti nel luglio 2019, sono in discussione le modalità di assegnazione del Pos (porto sicuro), con un procuratore, quello di Ragusa, finora unico in Italia, a tentare di affermare il principio che raccogliere migranti vicino alle coste africane equivale a essere complici degli organizzatori delle tratte di esseri umani.
Impugnando la sentenza, D’Anna smonta punto per punto le motivazioni del gup, che è «entrato nel merito delle accuse» pur non potendo farlo e ha considerato solo la relazione della Capitaneria di Porto italiana e la nota del comandante di «Nave Alpino» impegnata nell’operazione «Mare sicuro», scartando invece il report Sar della Open Arms ritenuto molto importante dall’accusa. In esso, infatti, c’è un video delle Go pro degli umanitari che riprende un soccorritore della Ong a bordo di un gommone veloce con cui, battendo in velocità la Guardia costiera libica che aveva assunto il comando dell’operazione di soccorso, ha già avvicinato quello dei migranti e rivolto a loro dice «We go Italy» e un altro soccorritore aggiunge «big boat go to Italy», di fatto spronando i migranti a salire sui natanti della Ong. Queste frasi, secondo l’accusa, attestano la premeditazione dello sbarco in Italia e la mancata intenzione a monte di contattare per un Pos Malta, dove furono evacuate solo due persone per motivi di salute.
Altro punto controverso è la diversa versione tra gli indagati da una parte e i video delle Go pro dall’altra sul comportamento dei libici della motovedetta Ras Al Jaddar. Secondo gli indagati erano minacciosi e armati, tanto che dalla Ong scattò l’allarme antipirateria, mentre nei video «non vi è traccia alcuna del lamentato abbordaggio di uno dei gommoni della Open Arms». «Il gup ha preso in considerazione solo le dichiarazioni degli indagati dice D’Anna -. È stata presentata una situazione altamente drammatica verosimilmente al solo fine di giustificare l’inosservanza alle indicazioni di Imrcc Roma e costringere i libici a desistere dal soccorso onde evitare incidenti diplomatici». Per la procura ci furono pressioni indirette degli indagati al governo italiano che assegnò un Pos «per evitare clamori mediatici». E la storia si è puntualmente ripetuta.