I dati sul Covid tenuti segreti: “Così condizionano le nostre vite”
Non c’è solo la questione del “Piano segreto anti Covid”, ormai diventato mitologico. Non ci sono solo i dubbi delle Regioni sui 21 indicatori che colorano i territori di giallo, rosso o arancio.
È ormai da mesi che sulla gestione della pandemia scienziati, ricercatori e giornalisti chiedono al ministero della Salute, e al governo tutto, di sollevare il fitto banco di nebbia che circonda le informazioni sul coronavirus. “La società civile italiana è pronta a supportare le istituzioni. Per farlo, però, ha bisogno di dati”.
Il database sull’epidemia è conservato all’Istituto Superiore di Sanità, l’ente che raccoglie le informazioni in arrivo dalle Regioni e che, con l’aiuto della Fondazione Kessler, li studia, li elabora, li trasforma in grafici e infine li presenta al pubblico ogni benedetto venerdì. Lavoro encomiabile, certo. Ma numerosi ricercatori, e altrettanti data journalist, vorrebbero poter intervenire all’inizio della montagna, non a valle. Cioè sui numeri disaggregati, puri, non analizzati. “La cittadinanza stremata – scriveva a novembre la campagna #datibenecomune – chiede risposte mirate, meno gravose di ‘tutti in lockdown’. Elaborarle richiede dati pubblici, disaggregati, continuamente aggiornati, ben documentati e facilmente accessibili a ricercatori, decisori, media e cittadini”.
L’appello inascoltato
L’iniziativa per la trasperanza è stata firmata da oltre 46mila persone e 168 organizzazioni, tra cui l’Associazione contro la corruzione, Scienza in rete, Legambiente, Medici senza frontiere e pure la fondazione Gimbe. L’obiettivo è ottenere dati aperti, interoperabili (machine readable) e disaggregati “per monitorare e classificare il rischio epidemico”: non bastano insomma gli “open data” già messi a disposizione su Epicentro. Dovrebbero essere rese pubbliche “le evidenze scientifiche, le formule e gli algoritmi che mettono in correlazione la valutazione del rischio, le misure restrittive e l’impatto epidemiologico ad esso correlato”. E magari servirebbe pure nominare un referente Covid-19 sulla trasparenza, sia nazionale che regionale. “I cittadini hanno il diritto di conoscere su quali dati e quali analisi si basano le decisioni prese dal governo per le restrizioni dei prossimi DPCM – si leggeva nella lettera aperta – Da questi dati dipende la nostra vita quotidiana, il nostro lavoro, la nostra salute mentale: vogliamo che siano pubblici. E vogliamo che siano in formato aperto, perché dobbiamo permettere agli scienziati e ai giornalisti di lavorare per bene”.
La lettera a Draghi
Da novembre l’appello non ha sortito molti effetti. La riottosità del dicastero guidato da Speranza a condividere le informazioni è noto: per ottenere il “piano segreto” due parlamentari sono stati costretti a rivolgersi al Tar. E non pochi accessi agli atti di cittadini e giornalisti, come scrive Domani, sono rimasti senza risposta. Due giorni fa, dopo il giuramento di Mario Draghi, #datibenecomune è tornata alla carica. In una lettera aperta al premier, i firmatari hanno rinnovato l’invito alla condivisione dei dati sulla pandemia. “Le nostre richieste non sono state ascoltate dal precedente governo”, si legge nella missiva. “I dati stanno condizionando la vita quotidiana di ciascuno di noi, derivando dalla loro analisi la limitazione delle nostre libertà costituzionali”. I firmatari chiedono un “cambio di passo” affinché sia garantita “l’apertura, la diffusione e il costante aggiornamento dei dati” su pandemia e piano vaccinale, unico vero “presidio a difesa dell’imparzialità delle scelte dei decisori pubblici”.
“Ricorreremo al Tar”
Lo stesso appello, in fondo, era già stato rivolto a Palazzo Chigi da Lettera 150, un think tank formato da oltre 250 professori universitari, magistrati, scienziati, giuristi ed economisti uniti dal desiderio di dare un “contributo in positivo” al “rilancio della Nazione”. Un mese fa il presidente Giuseppe Valditara ha inviato al ministero una istanza di accesso civico agli atti per chiedere copia degli ormai famosi 21 indicatori del monitoraggio con cui si decide il colore delle Regioni. “Vorremmo l’informazione precisa di tutti i dati epidemiologici – spiegava a Radio24 – sono dati strategici per poter affrontare l’epidemia e conoscere su quali presupposti vengono adottate le varie disposizioni”. Se Speranza non dovesse rispondere, Lettera 150 si rivolgerà al Tar. In quella che ad oggi – piano segreto docet – sembra l’unica strada per ottenere dal ministero un po’ di trasparenza.