Lo strano caso dell’India: perché il coronavirus è in ritirata
L’India potrebbe diventare la prima potenza mondiale a sconfiggere la pandemia provocata dal virus Sars-CoV-2. Una prospettiva, quest’ultima, basata su solidi dati scientifici e sul costante miglioramento del quadro epidemiologico indiano. I numeri parlano chiaro e mostrano una curva dei contagi che, dopo aver toccato il suo picco a settembre con quasi 100mila nuovi casi al giorno, è crollata. Le nuove infezioni nell’arco di ventiquattro ore sono, ormai, circa diecimila e gli ospedali si stanno svuotando. Alla metà di gennaio, come segnalato dal Times of India, i posti letto occupati da pazienti Covid nella capitale Delhi erano appena 1,215 sui 19,769 loro riservati. In terapia intensiva, invece, era libero il 92 per cento del totale. Il trend positivo era già evidente nel mese di novembre quando le autorità di Hyderabad, la popolosa città capoluogo dello stato del Telangana, avevano dichiarato che le ammissioni ospedaliere si erano ridotte del 60-70 per cento.
Un’ipotesi suggestiva
La spiegazione più ovvia del mistero indiano potrebbe coincidere con il raggiungimento dell‘immunità di gregge da parte della popolazione. Ufficialmente i casi totali registrati nel paese sono poco meno di 11 milioni ma le carenze del sistema sanitario nazionale potrebbe aver portato a sottostimare la reale diffusione dell’infezione. Un dato, quest’ultimo, che sembra trovare conferma in una indagine sierologica condotta dal governo.
L’indagine ha infatti stimato che poco più del 21 per cento della popolazione potrebbe aver contratto il Covid-19 ed aver sviluppato anticorpi protettivi nei confronti della malattia. Si tratta di cifre considerevoli ma comunque insufficienti ad avvicinare la nazione asiatica all’immunità di gregge, che può essere raggiunta quando la percentuale di popolazione immunizzata si avvicina o supera il 70 per cento del totale.
In questo senso potrebbe essere più vicina alla verità una ricerca svolta da un’azienda privata mediante 700mila test anticorpali. Secondo questa ricerca, infatti, il 55 per cento degli indiani avrebbe già contratto il Covid-19. Non è escluso, dunque, che almeno in alcune aree del paese l’immunità di gregge sia già realtà. Le enormi baraccopoli ai margini delle grandi città, l’alta densità abitativa e la carenza di servizi igienici potrebbero aver favorito l’espansione della pandemia in tempi relativamente brevi. Rimane, però, un dubbio. Come è possibile che tutto ciò sia avvenuto senza provocare un numero molto alto di decessi?
Una spiegazione convincente
La giovane età media della popolazione indiana potrebbe aver contribuito ad evitare una catastrofe umanitaria. Più della metà dei cittadini ha meno di 25 anni ed appena il 6% ne ha più di 65. Il virus ha colpito più duramente dove ha potuto (i decessi sono attualmente 156mila) ma si è trasmesso in forma asintomatica o lievemente sintomatica nella stragrande maggioranza dei casi.
Lo scenario indiano potrebbe essersi verificato anche in molti paesi africani dove la malattia si è diffusa senza provocare il collasso dei sistemi sanitari locali. In molti temevano, nei primi mesi del 2020, che l’India sarebbe crollata sotto il peso della pandemia ma le previsioni più tragiche, pur nel rispetto delle morti che ci sono state, si sono rivelate fallaci.
Il duro lockdown nazionale, imposto tra il 25 marzo ed il 30 maggio del 2020, è ormai un lontano ricordo ed il governo centrale ha spinto sull’acceleratore del ritorno alla normalità già dal mese di giungo. Le misure restrittive, peraltro difficilmente sostenibili nel lungo periodo in un contesto variegato e complesso come quello indiano, hanno causato un inevitabile rallentamento del sistema produttivo ed hanno inficiato la crescita del prodotto interno lordo.
Le prospettive
L’India potrebbe raggiungere la fase post-pandemica in una posizione di chiaro vantaggio rispetto alle nazioni confinanti. Il crollo dei contagi potrebbe rendere più gestibile la campagna di vaccinazione nazionale che si prospetta decisamente impegnativa e complessa dal punto di vista logistico. Immunizzare centinaia di milioni di persone può rivelarsi un compito improbo per una nazione economicamente sviluppata ed un’impresa quasi impossibile per un paese come l’India. Il sistema sanitario nazionale soffre di problematiche molto gravi ed in alcune zone, come quelle rurali, è praticamente assente.
Dal punto di vista della diplomazia dei vaccini, invece, una situazione non emergenziale potrebbe consentire a Nuova Delhi di esportare i preparati anti-Covid con più facilità e di espandere la propria influenza geopolitica a discapito dei rivali tradizionali. In questo ambito la competizione è comunque serrata e la Cina e la Russia potrebbero dare molto filo da torcere all’India.
Il miglioramento della situazione complessiva non dovrebbe comunque indurre ad un abbassamento eccessivo della guardia. Sullo sfondo permane il rischio di re-infezione dei pazienti guariti da parte di alcune varianti, in particolare quella brasiliana e sudafricana e da possibili nuove forme mutate del Covid-19 che potrebbero comparire nel prossimo futuro. Il discorso, in questo ambito, è ovviamente sfumato dato che anche la variante brasiliana e quella sudafricana non reinfettano ogni paziente guarito ma l’India, come il resto del mondo, potrà dire di aver voltato pagina unicamente quando il virus SARS-CoV-2 sarà sotto controllo in tutto il mondo.