Lo psicodramma tra i grillini: “Ci hanno trattato da deficienti”
«Trattati da deficienti», «governicchio di mezze cartucce», «governo Jurassic Park». I toni della fronda grillina sono all’acuto più alto in questa legislatura.
La mediazione di Rousseau pare travolta dall’onda di piena della rabbia che cresce tra le fila dei parlamentari pentastellati.
Al punto che la senatrice Barbara Lezzi ha raccolto le firme su una lettera indirizzata a Vito Crimi e Beppe Grillo per invocare una sorta di Var che invalidi la consultazione. «La previsione del quesito posta nella consultazione dell’11 febbraio 2021 non ha trovato riscontro nella formazione del nuovo governo», attacca la parlamentare pugliese. «Non c’è -insiste- il super-ministero che avrebbe dovuto prevedere la fusione tra il Ministero dello Sviluppo economico e il Ministero dell’Ambiente oggetto del quesito». Torna a protestare anche Nicola Morra, il presidente della commissione Antimafia, che conia l’espressione «governo Jurassic Park» che concorda: il ministero promesso non c’è.
Nelle chat dei parlamentari grillini circolano commenti a tinte forti. Tra i nodi c’è sicuramente il super ministero che tanto super non è, e soprattutto non è affidato a una personalità che garantisca i grillini. La distribuzione dei ministeri lascia fuori il M5s dal Recovery, ma non solo: c’è anche una questione geografica, riassunta in modo plastico dal deputato Luigi Iovino: «Lo capisce chiunque che ci hanno trattato come deficienti dandoci questi ministeri». Lezzi, Morra e Iovino, che è campano, hanno una cosa in Comune: sono stati tutti eletti in circoscrizioni del Mezzogiorno. E non è un caso. La distribuzione dei ministeri ha creato, agli occhi dei 5 Stelle, anche una discriminazione geografica. «Hanno dato il Sud a Forza Italia così si riprende i voti», si protesta. Drastiche anche Maria Luisa Faro, parlamentare pugliese: «Il M5S è morto e non sismo stati noi ad ucciderlo».
Nessuno fa nomi, almeno apertamente. Ma in privato si punta il dito contro Luigi Di Maio, non fosse altro perché nel rovesciamento di Conte, cui secondo molti l’ex capo politico non è estraneo, Di Maio è l’unico ministro grillino rimasto al proprio posto, seppur all’ombra di un premier dall’innegabile standing internazionale e che si è tenuto la delega sugli Affari europei.
La rivolta preoccupa i vertici che hanno avallato la svolta pro Draghi. «Vi è una loquacità che non dice nulla e vi è un silenzio che dice molto», osserva l’europarlamentare M5s Fabio Massimo Castaldo, citando Thomas Hardy. E in effetti l’ala governista tiene un profilo basso. In pochi escono allo scoperto, sottolineando che il treno di Draghi non va perso, perché è l’ultimo utile, come dicono Sergio Battelli e Roberto Lombardi. Stesso concetto ribadito da Beppe Grillo in un post da aut aut: «Scegliere le idee del secolo che è finito nel 1999 oppure quelle del secolo che finirà nel 2099». E i parlamentari vengono chiamati a una riunione via zoom con i vertici mentre c’è già un addio ufficiale, il deputato Giuseppe D’Ambrosio che lascia il M5s. Ma i governisti restano ottimisti: «Vedremo che succede con le deleghe di sottogoverno – dice Michele Dell’Orco già sottosegretario al Mit- se ci sarà un riequilibrio a favore del Sud alla fine saranno in pochi a lasciare». L’eventualità che nasca un nuovo gruppo pare più probabile. Anche tra gli ex 5s del resto c’è chi si prepara al «no», come la senatrice Elena Fattori, ora in Leu. La diaspora grillina ricomincia.