Il risiko europeo e l’avvento di Draghi
Mario Draghi ascolta i partiti. Il via vai delle consultazioni prosegue mentre l’ex presidente della Bce prende nota delle richieste dei vari movimenti e attende sabato per sciogliere la riserva. E nel frattempo le cancellerie d’Europa, da Berlino a Parigi, passando inevitabilmente per Bruxelles, osservano con ansia, aspettando il semaforo verde per il cambio di governo in Italia. Non una questione di secondo piano: per l’Europa, il fronte italiano rappresenta da sempre la parte scoperta dell’architrave Ue, dove, anche se non si decidono i destini del continente, di certo può decidersi se e come possa proseguire il sistema su cui fonda l’impalcatura comunitaria.
Il nodo romano per l’Unione europea non è di secondo piano. Da una parte c’è da risolvere il “problema Italia”, con il Recovery che galleggia ancora in alto mare, un governo debole e il rischio che la spirale della crisi trovi terreno fertile tra i palazzi di Roma. Dall’altro lato, salvare l’Italia significa salvare l’Europa. Quella stessa Europa di cui Draghi è stato per anni un rappresentante leale e soprattutto capace di esprimere una visione innovativa in grado di salvare la struttura dell’Eurozona in un momento in cui tutto sembrava diretto verso il tracollo. Ci è riuscito: e questo è piaciuto anche ai più miopi tedeschi, che in Europa hanno puntato i piedi per anni con la loro rigida visione pro austerity per poi rivelarsi invece ben lieti di un italiano che ha salvato l’euro aprendo il cordone della Bce e trasformandola (davvero) in Banca centrale.
Questo credito di Draghi nel cuore anche dei tedeschi più lucidi – molti, a destra, sono ancora dell’idea che quella scelta del “whatever it takes” sia stata in realtà un colpo durissimo all’austerità nordica – non è un tema da considerare in modo superficiale. Né può esserlo il credito ottenuto dall’ex presidente della banca centrale europea in tutti i palazzi Ue. Perché è proprio a Berlino e a Bruxelles che le cose sono sul punto di cambiare. E questo significa che è in corso un risiko di fondamentale importanza che coinvolge non solo l’Italia, ma l’intero cuore pulsante dell’Unione.
L’arrivo (ancora non del tutto certo) di Draghi a Palazzo Chigi coincide infatti con un particolare momento della vita europea. Da una parte, l’Italia, il Paese che in questi anni è stato visto come il più “attenzionato” da parte dei funzionari Ue, avrebbe al comando un garante della stabilità europea. Molto più di Conte, che si è convinto strada facendo e non per sua spontanea volontà (lo dimostra il passaggio giallo-verde del suo cursus honorum). Dall’altra parte, questo momento coincide con la fine del lungo regno di Angela Merkel, che alla fine di quest’anno non sarà più alla guida del governo. Per l’Unione europea (e in particolare per la Germania), chiunque arriverà dopo la Merkel seguirà certamente il solco tracciato dal suo ingombrante predecessore: ma è altrettanto evidente che ci vorrà del tempo, probabilmente anni, per colmare il gap rispetto alla posizione assunta dell’onnipotente cancelliera.
Nel frattempo, Emmanuel Macron guarda con timore alle prossime elezioni del 2022: il rischio di uno stop alla sua esperienza all’Eliseo è notevole, anche se non molto probabile, mentre è vorrebbe provare a sfruttare la fine dell’era Merkel per cercare di riabilitarsi come leader dell’Unione europea. Un sogno mai troppo nascosto dal presidente francese, che più volte ha fatto comprendere di avere bene in mente il piano per assumere la leadership dell’Europa una volta terminata la luce della stella Merkel. L’obiettivo francese è quello di sfruttare il patto di Aquisgrana per prendere il timone dell’asse franco-tedesco con l’uscita di scena della Merkel. Un passaggio di consegne abbastanza scontato che si unirebbe alla scelta italiana per un percorso non solo europeista, ma anche poco allineato agli schematismi rigidi dei Bruxelles e dei frugali. Parigi conosce bene la differenza tra un’Europa a trazione nordica da una meno incline all’austerity e all’assenza di ricette comuni su debito e politiche monetarie. E questo gioca a favore di una Francia in cerca di alleati e di potere.
Questo potenzialmente cambiamento nella struttura europea ha poi un ulteriore tassello in quello che avviene tra le grandi potenze. Specialmente a Washington. Gli Stati Uniti dell’era Biden hanno già messo in chiaro di non volere fratture con l’Unione come invece sembrava voler fare Donald Trump. Non sarà tutto idilliaco, ed è chiaro che l’America abbia sempre in mente l’idea di non dover più essere garante assoluto del Vecchio Continente. Ma questa prospettiva sarà molto più diluita nei tempi, meno traumatica, e un’Italia con Draghi, allineata anche alla visione euro-atlantica, può essere utile a Washington per fermare le derive orientali confermando invece la possibilità di indebolire lo strapotere tedesco. Soprattutto mentre il G20 sarà presieduto proprio dalla stessa Italia e l’Ue, per forza di cose, sarà in procinto di un nuovo modello di sviluppo dato dal Next Generation Eu.