Vittorio Feltri su Giuseppe Conte: “La politica non fa per lei. Torni ad accarezzare il suo gatto”

A quelli che mi chiedono come andrà a finire la vicenda fumosa del governo Conte mi viene voglia di rispondere che non me ne frega un accidente. Invece tergiverso anche perché non capisco nulla di quello che sta accadendo. Fossi nei panni del premier dimissionario manderei tutti al diavolo e fuggirei a Firenze a fare il professore universitario, impiego poco remunerativo ma tranquillo, sicuro nonché capace di garantirgli una lontananza di sicurezza dai brogli parlamentari in cui oggi è costretto a dibattersi, consumandosi il fegato. Comprendo che il ruolo di presidente del Consiglio sia prestigioso e seducente, tuttavia ricoprirlo in un momento turbolento come l’attuale ritengo sia una tale rottura di scatole che neppure egli – e la dico grossa – merita. 

Conte, pensi che soddisfazione sbattere la porta e tornarsene a casa in santa pace ad accarezzare il gatto, più piacevole che vivere accanto a Casalino e compari. Mi dia retta, avvocato, molli tutto e lasci che la banda dei parlamentari più scadente del mondo si arrangi a spartirsi poltrone e indennità di carica. Credo pure che smettere di litigare con Matteo Renzi possa costituire un sollievo che valga la pena inseguire. Chissà che noia dover salire sul Colle a spiegare la rava e la fava a Mattarella, trattasi senza dubbio di un impegno gravoso. La peggior cosa che le possa succedere poi, al termine delle estenuanti trattative in corso, è di essere forzato a fare ancora il premier, una iattura per lei, aggravata dal fatto di averla già subita negli ultimi due anni. 

Parliamo del Covid. Ci è ormai chiaro che lei di pandemie si intenda quanto io mi intenda di tauromachia. Le consiglio disinteressatamente di stare alla larga da Palazzo Chigi, un postaccio che distribuisce soltanto grane a chi lo abita. Se lei facesse ciò che le suggerisco non dovrebbe più avere a che fare con Speranza, Boccia e Renzi che si diverte un mondo a prenderla per i fondelli. Nella vita è lecito cimentarsi in tante esperienze, però c’è un limite: guidare l’Italia è una impresa titanica. Il duce sosteneva che governare gli italiani non è difficile, bensì inutile. Aveva torto. Oltre che arduo è velleitario. Nel nostro Paese funzionano solo la disorganizzazione e il pressappochismo. Gli uomini che dovevano, insieme a lei, condurre l’Italia fuori dall’emergenza sanitaria non hanno combinato nulla di buono, non sono stati in grado nemmeno di comprare sul mercato i vaccini, hanno recluso la gente, affamato ristoratori e baristi nonché commercianti. 

Non sono stati all’altezza dei loro incarichi e addossano a lei, capro espiatorio, la totale responsabilità di ogni disguido. Mi dia retta, signor presidente, io conosco la marmaglia della maggioranza e anche dell’opposizione. Non c’è soluzione a questo garbuglio, scappi a gambe levate ed eviti accuratamente la politica, non è pane per i suoi denti. P.s.: nel mio articolo di fondo, ieri, c’era un erroraccio. Questo: “Il più grave problema attiene una rapida soluzione…”. Sbagliato. La frase giusta è: “Il più grave problema attiene a una rapida…”. Purtroppo in redazione, dove non tutti sono fulmini di guerra, si sono dimenticati di apportare la correzione prevista. Cosicché sono obbligato a scusarmi con i lettori.

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