Giuseppe Conte, indiscrezioni: pronto alle dimissioni per avere un reincarico. Ma così rischia
Un “governo della non sfiducia”, retto da una minoranza di senatori, in piena epidemia. È quello che potranno avere gli italiani dopo il voto di martedì, se Giuseppe Conte tirerà dritto sulla strada dello scontro frontale con Matteo Renzi. Difficile che arrivi a tanto, però. Le frotte di parlamentari che dovevano accorrere sulla barca del presidente del consiglio ancora non si sono viste e potrebbero non esserci mai. Ci proverà sino all’ultimo, ma per lui si mette male. Al Senato, dove dovrebbe andare in scena lo scontro finale, i «costruttori» che hanno dichiarato di essere pronti a seguirlo in realtà già votano da mesi assieme ai giallorossi.
Per rimediare alla voragine aperta dall’addio dei renziani servirebbero truppe nuove, provenienti dall’opposizione, ma il «niet» di Lorenzo Cesa e dei tre senatori dell’Udc a partecipare al salvataggio del Conte 2 è stato un colpo durissimo. Così come la tenuta di Forza Italia, sul cui sfarinamento il premier aveva scommesso. Lo hanno capito quegli esponenti del Pd e dei Cinque Stelle che, fatti i conti, hanno riaperto le porte a Italia viva e chiesto al premier di fermarsi. E lo sa pure lui, che nei colloqui privati di ieri è apparso, per la prima volta, pessimista. Conte sta infatti valutando di entrare nell’aula di palazzo Madama non per chiedere la fiducia, bensì per ripetere la frase che pronunciò il 20 agosto del 2019: «Mi recherò dal presidente della repubblica per comunicargli ufficialmente l’interruzione di questa esperienza di governo e rassegnare nelle sue mani le mie dimissioni».
Da quel momento, per lui inizierebbe la corsa della vita: o si presenta da Sergio Mattarella con la ricetta del Conte 3 in mano (lista dei ministri pronta e una maggioranza precostituita), in modo da varare il nuovo esecutivo in tempi brevissimi, oppure si apre una crisi al buio, che con ogni probabilità significherebbe il suo addio agli uffici di palazzo Chigi. Tutta colpa del pallottoliere. Alla Camera, dove la fiducia sarà votata domani, non dovrebbero esserci problemi. Ma al Senato, martedì, sarà molto diverso. I 18 renziani sono orientati ad astenersi e così il quorum scenderà: se tutti gli altri 303 eletti saranno presenti, a Conte basteranno 152 voti. Li ha? Pare di sì. M5S, Pd, Leu e i cespugli della maggioranza hanno 147 senatori. Altri ne troveranno in quella terra di nessuno che è il gruppo misto, affollato di ex grillini che di andare a casa non hanno alcuna voglia. Ma il totale non supera quota 155. Meno dell’opposizione, che con i renziani arriva a 159 senatori, e altri potrebbe pescarne.
Si avrebbe, appunto, un governo basato sulla «non sfiducia» di Renzi e dei suoi, che potrebbero staccare la spina a Conte in un qualunque momento. Situazione insostenibile per il premier, il quale avrebbe problemi non solo a far approvare i provvedimenti del governo in parlamento, ma pure a difendersi davanti a Sergio Mattarella, il quale continua a ripetergli che servono maggioranze solide. È il motivo per cui ieri, dopo che l’Udc (malgrado la pressione dei vescovi) ha escluso ogni soccorso al Conte 2, Renzi si è messo ad esultare come quando segna la Fiorentina: «Al Senato i 18 senatori saranno decisivi, visto che al momento la maggioranza è tra 150 e 152». Il premier non vorrebbe cambiare il governo attuale. Sa che, appena si toccano le caselle dei ministri, rischiano di saltare i Cinque Stelle e l’intera maggioranza.
Ma se i senatori aderenti alla sua causa non dovessero aumentare sarà costretto a prendere in mano il piano B: dimissioni sul Colle e tentativo di creare rapidamente la maggioranza per sorreggere il Conte 3, nella quale potrebbero entrare i tre senatori dell’Udc (non si può dire sempre “no” a Santa Romana Chiesa) e gli stessi renziani. Mossa rischiosissima. Ma anche quella che l’aruspice Clemente Mastella ritiene più probabile, dopo essersi sfilato pure lui dalla campagna acquisti in favore del premier («Mi chiamo fuori perché, dopo aver cercato di dare consigli su come risolvere la crisi, sono stato attaccato sul personale»). Il padre di tutti i responsabili dice di vedere all’orizzonte «un Conte ter con un rimpasto e un rientro di Italia Viva». Sarebbe la vittoria di Renzi. Sempre ammesso che il fiorentino, appena Conte si dimette, non scateni un nuovo inferno su di lui, proponendo un altro premier (Mario Draghi in cima alla lista), sorretto da una coalizione più ampia. Le continue telefonate tra lui e Matteo Salvini, del resto, servono proprio a preparare questa operazione. riproduzione riservata.