Fede, sovranità e famiglia: il Natale patriottico del presidente Putin, la lezione russa all’Occidente in declino
Il 7 gennaio di ogni anno i fedeli ortodossi che seguono il calendario giuliano si riuniscono in preghiera per commemorare la nascita di Gesù. In Russia, dove questa festività è particolarmente sentita dalla stragrande maggioranza della popolazione e permea capillarmente l’intero ambiente attraverso macro-installazioni e spettacoli di luce, quest’anno ha avuto una cerimonia dall’elevato contenuto simbolico: un Natale patriottico che, se propriamente letto e analizzato, è in grado di dire molto sull’attualità del concetto di Terza Roma.
Un Natale “patriottico”
La messa natalizia più seguita di Russia ha avuto luogo nella piccola chiesa di San Nicola, un antico luogo di culto – la costruzione risale al 1292 – che si trova sull’isola di Lipno e la cui scelta da parte di Vladimir Putin non è stata casuale. La chiesa, infatti, sorge sul sito in cui fu trovata l’icona miracolosa di San Nicola di Bari ed è uno dei gioielli dell’area di Velikij Novgorod, la città-simbolo dell’identità nazionale: è qui che ha avuto inizio la storia della civiltà russa, con l’arrivo nell’862 del leggendario principe-guerriero Rurik, condottiero dei variaghi.
Un Natale che potesse trasudare simultaneamente fede e patriottismo non avrebbe potuto essere organizzato che a Velikij Novgorod, culla della Russia, e nella chiesa di San Nicola, eretta dai fedeli per chiedere protezione al divino dall’invasione mongola e distrutta dai nazisti durante l’operazione Barbarossa.
Il regime sovietico avrebbe potuto ignorare il destino della chiesa di San Nicola, coerentemente con la propria politica di demolizione e riconversione laica dei siti ortodossi, ma non lo fece: si autoincaricò della sua ricostruzione, riportandola a nuova vita nel 1956. L’ateismo al potere, per nulla dimentico della “conversione” mariana di Stalin durante la battaglia di Stalingrado, ebbe a riconoscere che l’anima del popolo russo giace fra Lipno e Velikij Novgorod – e, lì, giacerà eternamente.
Il messaggio di Putin
Dopo aver presenziato alla messa, Putin ha risposto alla domanda di un giornalista sui misteri della vita: “L’amore di Dio per l’Uomo non consiste nell’accordarci ogni nostra richiesta e desiderio, ma nel permetterci di pregare per Lui, per noi e di sperare per il meglio. Questa speranza, e talvolta l’attesa di un miracolo, è la vera stella che illumina il nostro percorso di vita e ci sostiene nelle fasi più difficili”.
L’inquilino del Cremlino, inoltre, ha inviato un messaggio alla nazione in due parti. Nella prima, dal contenuto più spirituale, si può leggere che “questa festività meravigliosa illumina il mondo con una luce di amore e gentilezza, dona gioia e speranza a milioni di persone e le guida verso valori spirituali senza tempo”.
Sottolineato il significato metafisico del Natale, il presidente russo ha colto l’occasione per lanciare un messaggio politico: “È cruciale che la Chiesa ortodossa russa e le altre denominazioni cristiane si focalizzino costantemente su argomenti riguardanti la salute morale della società, sul rafforzamento dell’istituzione della famiglia e sulla crescita delle giovani generazioni, e che si interessino sinceramente al mantenimento del dialogo interetnico e interconfessionale”.
Il significato del sermone
Nella seconda parte del sermone natalizio di Putin sono presenti tutti gli ingredienti della ricetta che ha permesso alla Russia di rinascere nel dopo-Eltsin, tornando ad essere ciò che è storicamente stata: erede spirituale di Bisanzio e Roma, e baluardo della cristianità e del conservatorismo dapprima che lo zar Nicola I formulasse la dottrina “Ortodossia, Autocrazia, Nazionalità” (Правосла́вие, Cамодержа́вие, Hаро́дность).
Quegli ingredienti, citati, sottintesi o intuibili nel messaggio del presidente, sono: il ritorno dell’ortodossia al centro della vita pubblica, il recupero di una weltanschauung che vede in Mosca il katéchon conservatore in lotta contro il liberalismo, e il mescolamento delle concezioni di Terza Roma e Seconda Mecca.
È nella direzione di un futuro orientato al passato che la Russia continuerà a camminare nel 2021 e negli anni a venire: il Natale patriottico di Lipno è servito (anche) a questo, a indicare ai figli di Rurik e di San Vladimir – Svjatoslavic, non Putin – quale sarà la via da percorrere per permettere alla nazione di riavere il proprio legittimo posto nella storia. Quel posto, occorre ricordarlo ai digiuni di storia, è a metà fra Occidente e Oriente, fra rincorsa della modernità europea e richiamo identitario di forze ancestrali asiatiche, ragion per cui la Russia è nella posizione unica di non essere né Europa né Asia, ma Eurasia.