Cina pronta a comprare anche Iveco

È rivoluzione nella galassia Elkann-Agnelli: nata Stellantis, dall’unione di Fca con Psa, il 16 gennaio, nel giro di due-tre mesi Iveco potrebbe finire nelle mani del colosso cinese Faw Jiefang.

Le trattative tra Cnh Industrial e First Automobile Works, il maggiore produttore di auto del Paese, con sede a Changchun (Nord-Est della Cina), tra l’altro consociato di Volkswagen, sono in corso. E toccherà al nuovo Ceo di Cnh Industrial, Scott Wine, insediatosi il 4 gennaio, a portarle avanti insieme alla presidente Suzanne Heywood, al capo del brand Gerrit Marx e sempre sotto la regia dell’azionista John Elkann. Già nel 2019, il Giornale aveva parlato di «Via della Seta» per Iveco e ora tutto sta per concretizzarsi.

I negoziati con Faw si erano interrotti lo scorso anno, qualche mese dopo la presentazione di un’offerta preliminare a luglio, con la valutazione di Iveco a circa 3 miliardi, cifra ritenuta però non adeguata. Ora si starebbe invece discutendo su una base di 3,5 miliardi. Nel confermare i colloqui (in lizza per l’acquisizione c’era anche Shandong Heavy Industry), Cnh Industrial parla di «prospettive di rafforzamento del business On-Highway dell’azienda», anche «se nessun accordo definitivo sulla portata o la natura della cooperazione è stato al momento raggiunto». La vendita di Iveco (nel pacchetto ci sarebbero anche i bus – ma non i mezzi militari e speciali – e una quota minoritaria di Fpt) annullerebbe il piano, presentato nel 2019, di dividere in due il gruppo: da una parte Iveco, i bus e Fpt (motori) e dall’altra le macchine per l’agricoltura e il movimento terra. Lo scorporo, previsto per l’inizio di quest’anno, era stato rinviato a causa del Covid.

Faw produce camion pesanti con il marchio Jiefang e ha l’obiettivo di espandersi al di fuori della Cina nei prossimi due anni. Un investimento in Iveco l’aiuterebbe ad accedere al mercato mondiale dei veicoli commerciali. Iveco ha già comunque una base in Cina dove produce in joint venture (Saic) il Daily, motori e progetterebbe autocarri a guida autonoma (con la start-up Plus).

Per la Casa torinese, che ha stretto un accordo con l’americana Nikola, specializzata in camion elettrici e a idrogeno (ma ora alle prese con non pochi problemi), entrare a far parte di un grande gruppo permetterà di affrontare con proficue sinergie le norme sempre più stringenti in fatto di emissioni. Iveco, inoltre, è il più piccolo tra i produttori di camion in Europa, forte in tema di motori Lng (gas naturale liquefatto), ma costretto ad accelerare sui veicoli elettrici a batteria ed elettrici a fuel cell così da raggiungere il traguardo delle emissioni zero.

Arrivato l’annuncio di una Iveco presto in mani cinesi, si accendono le polemiche. «Stupisce – commenta Adolfo Urso (Fdi), vicepresidente del Copasir – l’assenza della politica su azioni che riguardano i principali asset produttivi del Paese. È necessario valutare anche l’ipotesi di utilizzare la golden power».

Anche su Stellantis c’è dibattito tra i sindacati sull’importanza o meno che lo Stato sia presente nell’azionariato. Nel nuovo gruppo, infatti, l’Eliseo deterrà inizialmente il 6,2%, non ci sarà invece Roma. «Un’assenza grave – afferma Maurizio Landini (Cgil) – sono anni che i governi non si occupano di politica industriale, lasciando che siano le regole del mercato a guidare, con i risultati che vediamo. Senza una politica di sistema quell’intesa non produrrà gli effetti necessari». Di diverso avviso è Rocco Palombella (Uilm): «Per noi è un valore non avere lo Stato dentro il gruppo. Nel passato non ci sono stati buoni risultati. Ci fidiamo della famiglia Agnelli. E contiamo sulle capacità dei vertici alla guida e sulla forza delle fabbriche».

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