Orrore a Milano: 90enne uccisa per 10 euro dall’immigrato accolto in casa grazie al progetto della giunta PD
Era arrivato lì quasi tre anni fa, appena maggiorenne. Lui, senza genitori, dopo un paio di anni passati a vivere in strada tra Roma e Milano, aveva trovato un lavoro e una famiglia in quella vecchia cascina che piano piano si sta trasformando in un agriturismo. E anche per i proprietari di quella cascina era diventato uno di famiglia, quasi un figlio. Poi, in un attimo, il buio, la violenza furiosa e cieca: il bisogno di soldi, il no e la lite che si trasforma in una brutale, spaventosa, esecuzione.
È stato fermato il killer di Carla Quattri Bossi, la 90enne uccisa nella notte tra sabato e domenica nel “Podere Ronchetto”, la cascina di via Pescara, al Gratosoglio, che la donna gestiva con i suoi quattro figli, uno dei quali vive lì. In manette, su ordine del pm Gianluca Prisco, è finito Dobrev Damian Borisov, un bulgaro di ventuno anni che nel podere si occupava degli animali e dei piccoli lavori di ristrutturazione dopo essere entrato in un progetto di collaborazione tra comune di Milano e associazioni di volontariato per aiutare i ragazzi meno fortunati.
La lite per i soldi
Proprio grazie a questa cooperazione, il 21enne aveva iniziato a lavorare nella cascina in cambio di vitto, alloggio e una piccola somma di denaro. Denaro che però, evidentemente, non bastava. Così – stando a quanto ricostruito dalla Squadra Mobile, guidata dal dirigente Marco Calì – sabato sera lui si sarebbe presentato nell’alloggio della 90enne e le avrebbe chiesto dei soldi, sembra dieci o quindici euro.
La donna, però, avrebbe detto di no e sarebbe nata una lite: Dobrev, secondo i primi accertamenti della Scientifica, avrebbe a quel punto impugnato un barattolo di marmellata e avrebbe sfondato il cranio della vittima. Poi le avrebbe legato i polsi con un pezzo di stoffa – non è chiaro perché -, le avrebbe coperto la testa con un asciugamano, forse per bloccare il sangue, e l’avrebbe trascinata in più punti della casa, magari in un disperato e confuso tentativo di spostare il corpo e farlo sparire.
L’allarme dato dalla segretaria
L’allarme è scattato soltanto alle 10 della mattina successiva, quando la segretaria ha trovato il cadavere dell’anziana – che in passato aveva gestito anche “Cascina Gaggioli” – e ha chiesto aiuto.
Il lavoro della sezione Omicidi, guidata dalla dottoressa Rita Fabretti, e della Scientifica, coordinata da Nicola Gallo, è partito dalla scena del crimine: un’abitazione completamente a soqquadro, sangue ovunque e proprio un barattolo di marmellata frantumato a terra, nel punto in cui sarebbe iniziata l’aggressione.
Gli investigatori hanno immediatamente ascoltato tutti i possibili testimoni: due camperisti – l’area è anche un punto di sosta – e i tre dipendenti del Podere, nel quale lavorano due giovani africani, un filippino – lavoratore “storico” che in realtà in quel momento era fuori – e proprio il 21enne bulgaro.
La lavatrice nel cuore della notte
Una prima svolta è arrivata quando due dei lavoratori hanno segnalato di aver sentito una lavatrice in funzione nel cuore della notte nell’alloggio di Dobrev. Così, gli agenti hanno capito che quello poteva essere un segnale e lo hanno immediatamente ricondotto all’impronta insanguinata di una scarpa che era stata trovata nella casa del delitto.
Quella scarpa era proprio del 21enne, che subito dopo l’omicidio aveva cercato di lavare i vestiti e le scarpe e le aveva messe ad asciugare sui termosifoni. Nel suo mini appartamento, poi, i poliziotti hanno trovato anche altro: alcuni monili della vittima e la sua fede nuziale, che evidentemente aveva preso dopo averla uccisa.
La confessione
Una volta in trappola, Dobrev ha ammesso tutto e ha ricostruito – anche se in maniera confusionaria – l’accaduto, dalla lite per il no alla richiesta di soldi, fino all’aggressione. Lui stesso ha anche confessato di aver portato via dalla casa della vittima 150 euro in contanti, che avrebbe consumato bevendo alcol dopo l’omicidio.