Servizio sanitario nazionale, i numeri dello sfascio: in 10 anni chiusi 130 ospedali
Che l’Italia e il suo Servizio sanitario nazionale siano arrivati totalmente impreparati alla pandemia è, ormai, un dato di fatto. Certificato, oggi, anche dai dati dell’ultima edizione dell’Annuario statistico.
I 37 miliardi di tagli si fanno sentire
Appena dato alle stampe dal ministero della Salute (riferito all’anno 2018), il quadro che traccia l’Annuario è abbastanza desolante. Tanto più in confronto con l’analoga edizione del 2008. Un decennio nel corso del quale si è letteralmente tagliato di tutto e di più: sono almeno 37 i miliardi che mancano all’appello al Servizio sanitario nazionale. Con evidenti conseguenze sulle dinamiche dell’assistenza ai cittadini.
I numeri non mentono. Prendiamo ad esempio le strutture ospedaliere pubbliche, che dal 2008 ad oggi sono passate da 645 a 515. Fanno esattamente 130 ospedali in meno. Non meglio è andata al privato accreditato, che perde 61 nosocomi. Aumentando, però, il suo peso sul totale: dal 45,6 al 48,2%. Praticamente un ospedale su due è ormai in convenzione. Ne risente, per ovvi motivi, anche la dotazione di personale: i dipendenti diretti del Ssn si riducono da 640 a 604mila, con quasi 5mila medici e oltre 8mila infermieri in meno.
Tagliati al Servizio sanitario nazionale oltre 30mila posti letto
Merito, se così possiamo dire, del lungo processo di revisione della spesa. Un cammino che, nelle intenzioni, doveva servire ad efficientare il Servizio sanitario nazionale. Lo spiegava, fra gli altri, il governatore della Puglia Michele Emiliano, annunciando (testuali parole): “ne dobbiamo chiudere molti altri di ospedali inutili e pericolosi e farne pochi molto efficienti”.
Se la logica sottesa poteva sembrare quella di concentrare le strutture in un numero di centri minore rispetto al passato, i numeri raccontano una realtà diversa. Nel mezzo del percorso, infatti, si sono persi non pochi posti letto: da 221mila si è passati, sempre nell’arco di un decennio, a 190mila. Fanno 31mila (il 14%) in meno: il sedicente efficientamento è stato, in realtà, un puro taglio lineare. Con il risultato che, se nel 2008 erano disponibili 4,3 letti per 1000 abitanti (e 3,7 per pazienti acuti), nel 2018 diventano 3,5 (2,9 per gli acuti).
Medicina del territorio sempre più abbandonata
I problemi non riguardano solo l’assistenza ospedaliera. Anche la medicina del territorio, che dovrebbe essere il primo punto di contatto dei cittadini con il Servizio sanitario nazionale, soffre terribilmente.
I medici di medicina generale lasciano infatti sul campo quasi 4mila professionisti: rispetto ai 46.510 del 2008, nel 2018 se ne contano 42.987. Di questi ultimi oltre il 75% hanno un’anzianità di laurea che supera i 27 anni: nei prossimi tempi andranno in pensione, senza che al momento appaia all’orizzonte un’adeguata strategia per coprire le carenze di organico destinate giocoforza a crearsi. Di più: sempre con riferimento all’ultimo decennio aumentano di oltre 100 unità i pazienti in media (su base nazionale) a loro carico, con evidenti rischi sulla qualità delle cure offerte. Meglio va invece per i pediatri: ognuno di essi passa da un carico (sempre in media nazionale) di 1019 ad uno di 985 bambini. Non è però da escludere che ciò sia dovuto non ad un potenziamento dell’offerta, bensì ai drammatici dati di una natalità in continuo e costante calo.
Filippo Burla