Il passo falso di Conte: così mette in pericolo gli italiani
La liberazione dei pescatori siciliani trattenuti a Bengasi da più di cento giorni, se da una parte non può non essere una buona notizia in quanto potranno finalmente fare rientro a casa, dall’altra è l’ennesimo disastro di un governo che oramai fa acqua da tutte le parti.
Il premier Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, tentano di presentare l’epilogo della vicenda come una vittoria e un “regalo” di Natale, senza però rendersi conto che l’unico vincitore è il generale Khalifa Haftar, mentre l’Italia ne esce ancora una volta a pezzi, sia diplomaticamente che istituzionalmente. In aggiunta a ciò, non poteva mancare anche il pasticcio della geolocalizzazione di Rocco Casalino che rispondeva a chi chiedeva della visita di Conte e Di Maio in Libia con lo screenshot della sua geolocalizzazione all’aeroporto di Bengasi. In seguito però, Casalino rendeva noto di non aver inviato alcuna geolocalizzazione, ma che si tratterebbe di un errore nel cellulare di Conte. Un errore dell’apparecchio o di chi lo utilizzava? Certo è che errori del genere in situazioni così delicate non dovrebbero assolutamente accadere.
Il disastro istituzionale
Per prima cosa è bene mettere in evidenza che come già detto, se sotto il piano umano la liberazione dei pescatori è certamente una buona notizia, su quello istituzionale e a livello diplomatico non vi è assolutamente nulla da festeggiare. Il fatto stesso che il sequestro sia durato ben 108 giorni è già di per sé una sconfitta, visto che la situazione poteva essere sbloccata subito con un blitz mai autorizzato, come già illustrato a Panorama dal giornalista e reporter di guerra Fausto Biloslavo: “La nave della Marina militare, Durand de La Penne, allertata un’ora e mezza prima, alle 21.35, si trova 115 miglia a ovest. A bordo un elicottero AB-212 Asw è in grado di intervenire in meno di due ore per liberare i pescatori sequestrati dai miliziani libici del generale Khalifa Haftar. Alla fine, si decide di non farlo preferendo la soluzione diplomatica, che langue, con i 18 pescatori detenuti a Bengasi da 70 giorni”.
Il perché di tutto ciò bisognerebbe chiederlo ai relativi ministri coinvolti nella vicenda e ai vertici della Marina. Secondo quanto emerso dall’inchiesta di Panorama, il ministro degli Esteri (Lorenzo Guerini) è stato informato a fatto compiuto dal Capo di Stato Maggiore della Difesa. Questo significa che la Marina ha deciso senza interpellare il Governo? Perché?
In secondo luogo, è bene tener presente che le forze di Haftar avevano sequestrato anche una nave turca nello stesso periodo, con l’unica differenza che Ankara ha fatto rilasciare l’imbarcazione dopo soli cinque giorni, mentre i marinai siciliani sono rimasti intrappolati a Bengasi per ben 108 giorni. Oltretutto la Turchia è anche acerrima nemica di Haftar.
Con l’Italia invece le cose sono andate diversamente: forse Haftar si era sentito messo da parte e ha preteso che Conte e Di Maio lo andassero di corsa a incontrare, cosa pazzesca. Si è mai visto un capo di governo che corre a trovare un sequestratore? Ebbene, da oggi si.
Forse Conte e Di Maio hanno pensato che un’altra passerella come già vista con Silvia Romano potesse giovare a un esecutivo a pezzi e hanno così pensato bene di correre in Libia nonostante le urgenze in patria dovute alla disastrosa situazione economica e sanitaria in cui si trova il Paese, nonostante tutte le incertezze legate al periodo di Natale.
Attenzione poi, perchè un governo che ci mette più di 100 giorni a risolvere una situazione che non si doveva protrarre oltre una settimana non fa altro che mettere a repentaglio la sicurezza e l’incolumità dei cittadini italiani all’estero, senza considerare poi la nomea di Paese paga-riscatti che l’Italia già ha da anni.
Non risulta tra l’altro ancora chiaro cosa sia stato promesso o dato ad Haftar in cambio della liberazione, perchè è veramente difficile credere che non sia così. Il riconoscimento politico è sicuramente un primo elemento da considerare, ma difficilmente l’unico.
Il ruolo dell’intelligence e il flop diplomatico
La passerella di Conte e Di Maio a Bengasi non è piaciuta neanche al presidente del Copasir, Raffaele Volpi, che ha inviato un messaggio chiarissimo: “Un mio sincero ed affettuoso ringraziamento al generale Caravelli e al personale dell’Aise per la costante dedizione e il determinante lavoro svolto. Unicamente a loro va la mia sentita gratitudine”.
La dichiarazione lascia chiaramente intendere che Conte e Di Maio non hanno alcun merito nella faccenda, nonostante la passerella, così come fecero del resto con la liberazione di Silvia Romano, quando in piena epidemia da Covid si presentarono ad accoglierla all’aeroporto elogiando il grande operato del Governo e dell’intelligence italiana. Seguiva però una doccia fredda nel momento in cui emergeva la foto della Romano con il battle-vest dell’esercito di Ankara mentre diversi siti turchi rendevano noto che l’operazione di rilascio della ragazza era stata condotta dai servizi segreti turchi (ampiamente e capillarmente presenti in Somalia) in seguito a una richiesta avanzata alla Turchia dalle autorità italiane.
A questo punto è legittimo chiedersi se anche in questo caso Roma si sia rivolta ad Ankara, non solo considerando che Erdogan ha fatto liberare la propria nave in cinque giorni, ma anche in seguito a quanto emerso in un approfondimento dell’analista israeliano Oded Berkowitz che ha evidenziato come Italia e Turchia collaborino attivamente in ambito di intelligence in Libia (in sostegno al GNA). È chiaro che, come già detto, un governo che chiede ad altri Paesi di intervenire per risolvere i propri problemi esteri diventa un pericolo per i propri stessi cittadini.
Il fatto che l’Italia non conti più niente nè in Libia e neanche in Somalia (entrambi luoghi dove ora l’egemonia è turca) è un dato di fatto, altrimenti non ci si sarebbe trovati in una situazione tale. Roma avrebbe potuto utilizzare la propria Marina, vista la flotta di cui dispone; vero è che se i vertici della Marina stessa hanno deciso di non intervenire nelle ore immediatamente successive al sequestro dei marinai siciliani, allora qualche domanda bisogna farsela. Si sarebbe potuto alzare i toni, facendo presente ad Haftar che chiunque bersaglia cittadini italiani diventa automaticamente bersaglio. Invece no.