Coronavirus, uomo albanese infetto entra in Italia per farsi curare da Alberto Zangrillo: uno strano caso
Con tutta la buona volontà natalizia, che spinge a cercare nel buio scintille di bontà e di bellezza, stavolta ci arrendiamo. La storia che raccontiamo è quanto di più lontano ci sia da lieti annunzi e buone notizia. Ma – come scriverebbe Guareschi – è molto istruttiva, e insegna una morale che ci riguarda tutti. Ed è che non esiste il diritto di salvarsi ad ogni costo, mettendo a rischio la vita degli altri in nome del “si salvi chi può, prima io però”.
Che diavolo succede in Italia? Ecco il diario dell’assurdo. Giovedì 10 dicembre, Tirana, capitale dell’Albania. Il signor N.S., circa 50 anni, è preoccupato. Da una decina di giorni ha i sintomi classici dell’infezione, quelli che i clinici dicono “compatibili” con il Covid. Le terapie prescritte dal dottore di base sono stati tentativi a tentoni per placcare il virus, come di bambini che giocano a mosca cieca. Finché il medico di fiducia prescrive una lastra al torace ed esami del sangue congrui. Risultati bruttissimi. N.S. Si spaventa. Il buon dottore onestamente gli dice che c’è poco da fare. Lo avverte dell’esistenza di una lucina lontana, forse irraggiungibile. E di sicuro se fosse in Italia lo indirizzerebbe al San Raffaele di Milano dove c’è «il famoso professor Alberto Zangrillo, anestesista, che è il più bravo di tutti e ha messo a punto una cura che sta dando successo anche in casi gravissimi».
Il paziente disperato si ricorda. Ma certo: lo ha visto e sentito parlare in televisione, ha guarito Berlusconi, 84 anni e guai pregressi. Che fare? Non vuol morire, ovvio. E decide allora di provare. Busserà e il buon samaritano Zangrillo lo curerà. Un ospedale che porta il nome dell’Arcangelo taumaturgo non rifiuterà soccorso a un pellegrino moribondo.
LA PRENOTAZIONE
Funziona così: uno può essere ridotto in poltiglia, ma la voglia di scamparla è una vitamina prodigiosa. Chi non ha nulla da perdere, rischia: il problema è però che a perdere sono gli altri, i quali non meritavano di stare fianco a fianco all’avventura di un moribondo sì, ma furbetto. Il quale si organizza. Prenota un volo per Milano. Guarda gli avvisi dell’ambasciata italiana a Tirana. Sono perfetti. Si sconsiglia vivissimamente il viaggio. E si aggiunge: «Si fa altresì presente che, al momento dell’ingresso in Italia, i controlli sono rigorosi e accurati e che è possibile il respingimento alla frontiera se la documentazione presentata non è conforme». E la documentazione di N.S.? È quanto di meno conforme esista per viaggiare e passare il confine: Covid conclamato! E che fa il nostro malato? Parte lo stesso. Ce la farà? Venerdì 11 dicembre, via Olgettina, ore 18. Arriva in taxi da Malpensa un signore affricato, piegato dal male. Si fa scaricare davanti al Pronto Soccorso del San Raffaele.
Chiede, implora: «Vengo da lontano, cerco il professor Zangrillo». Zangrillo dispone i controlli. Il responso è: «Antigenico positivissimo». Cure immediate. Venerdì ore 20, Ospedale San Raffaele. Le cure continuano nel reparto idoneo. La respirazione migliora. Il signore albanese racconta le sue peripezie. Zangrillo si mette le mani sulla testa scafandrata. Partono le procedure del caso. Telefonate urgentissime. Si informa la polizia alla Malpensa. Sono ricercati i passeggeri che hanno viaggiato con quest’ untore, coloro che l’hanno incrociato all’uscita dell’aeroporto, e i controllori che hanno creduto a chissà quali balle o sono stati ingannati con destrezza, il tassista che ci ha passato un’ora insieme. È un disastro. Un focolaio viaggiante. Arrivato stracciando come se fosse carta velina la barriera d’acciaio che dovrebbe impedire la proliferazione del Corona.