Pescatori, parla la moglie di Bernardo: “Governo di incapaci. A Natale dormiremo sotto il Parlamento”
“Per noi non sarà Natale. Lo passeremo in piazza a Montecitorio. I nostri uomini non possono urlare e a noi tocca essere la loro voce”. A parlare è Cristina Amabilino. Che da oltre tre mesi attende di riabbracciare il marito Bernardo Salvo. Uno dei 18 marinai sequestrati dalle milizie del generale Haftar il 1 settembre a Bengasi.
Pescatori, la moglie di Bernardo: governo incapace
“Il governo Conte si è rivelato debole, incompetente e incapace di far valere il proprio peso”, dice la signora Cristina all’Adnkronos. “Da mesi ci ripetono che le trattative sono in corso. Ma per quanto complesse non si possono certo concludere con la pelle di 18 uomini. Facciano tutto quello che è necessario per riportarli indietro. Noi ci affidiamo ma non ci fidiamo“.
E’ un fiume in piena la moglie del pescatore che, insieme ad altri familiari dei marittimi sequestrati, ha pernottato per giorni e notti davanti a Montecitorio per accendere i riflettori sul caso. Inascoltata dal premier Conte, dal ministro degli Esteri Di Maio. Soltanto Fratelli d’Italia e Lega hanno denunciato per settimane l’inerzia di Palazzo Chigi. E fatto pressing sul governo per conoscere lo stato dell’arte delle trattative.
“Ci affidiamo ma non ci fidiamo”
“E’ stato detto persino che la colpa è dei 18 marinai, ma loro erano in acque internazionali…“. Il 24 e il 25 dicembre Cristina Amabilino sarà in piazza a Montecitorio. “Se i nostri uomini nei prossimi giorni non torneranno a casa saremo lì a protestare. E il 31, in occasione del discorso del capo dello Stato, ci sposteremo al Quirinale”. Dopo i primi 55 giorni trascorsi in piazza è pronta alla nuova protesta a oltranza. “Il tempo delle parole è finito. Non vogliamo più rassicurazioni, chiamate e foto. A tre mesi dal sequestro non ci bastano più. Il premier Conte e il ministro Di Maio vadano in Libia e riportino indietro i nostri padri, i nostri mariti e i nostri figli”.
L’ultimo contatto lo scorso 11 novembre
L’ultimo contatto con il marito risale allo scorso 11 novembre, dopo 72 giorni. “Una chiamata emozionante, ma che è durata pochissimo, abbiamo avuto a disposizione 2-3 minuti ciascuno”, ricorda la donna. ” Sono vivi ma non stanno bene. Ci hanno detto ‘fateci uscire da qui, non ce la facciamo più, ci sentiamo abbandonati’. Da quel giorno è calato il silenzio.
Nei lunghi mesi di attesa tante sono state le manifestazioni di solidarietà da parte del Comune e di semplici cittadini. “In tanti ci hanno aiutato. Ma non abbiamo sentito il governo Conte. Viviamo un incubo da tre mesi, siamo dentro un tunnel da cui non riusciamo a vedere la luce e oggi alla rabbia, si aggiungono il dolore e la delusione“.