La compagna Azzolina si racconta: “Amo Marx, Bella Ciao e mi chiamavano Cazzolina”

«Già al liceo mi chiamavano Cazzolina, e ne ridevo, e ora, per aiutarli a ridere, mi tingo le labbra ancora di più». Scatta l’operazione-empatia Lucia Azzolina. Nel tentativo di raggranellare qualche consenso in un periodo che vede naufragare il gradimento del suo operato in seno all’emergenza sanitaria, l’attuale ministro dell’Istruzione si gioca la carta del «lato umano». Tutto quello che ignoravate dell’infanzia dell’Azzolina e tanto altro: il rischio di essere ricordata come quella dei «banchi a rotelle» è bello alto, così l’inquilina di Viale Trastevere decide di sbottonarsi, snocciolando a Venerdì di Repubblica i ricordi di un’infanzia e adolescenza «difficili» di trapiantata siciliana al nord, strizzando l’occhio agli immancabili riferimenti culturali «rossi».

Marx e Bella Ciao

Il rosso, dalle labbra alle letture, passando per i tramonti della spiaggia di Noto «che è la più bella del mondo» è il filo conduttore dell’intervista. Il ministro confessa che il suo libro preferito rimane Manifesto del partito comunista di Marx e Engels. E la canzone preferita? Ma è Bella ciao, naturalmente, «che è fantastica perché è la canzone della liberazione e non del comunismo». Nonostante tutto questo fervore sinistroide spiega di non essere «femminista militante. Anche se, quando ho letto le volgarità sessiste contro di me, una forte tentazione mi è venuta», ha affermato. Ce la ricordiamo bene, infatti, la sua boutade contro chi – e il tempo ha dato loro ragione –  metteva in dubbio la ripresa delle scuole a settembre e guardava con perplessità l’introduzione dei banchi a rotelle: «Mi attaccano perché sono donna, giovane e dei Cinque stelle», aveva tuonato.

Fan di Bergoglio

Come c’era da aspettarselo, il ministro non è credente, «sono agnostica», e ancora più prevedibilmente confessa di essere fan di Bergoglio: «Amo moltissimo questo Papa»: immigrazionista, che nell’enciclica Fratelli tutti ventila l’abolizione della proprietà privata e si dimostra personalmente tenero con le unioni gay. Chissà perché, quindi non riusciamo a stupirci di tale simpatia.

Un’infanzia da Libro Cuore

L’operazione-empatia continua con i racconti di un’infanzia malinconica che vede il trasferimento dall’assolata Sicilia alle nebbie biellesi, culminando nella parentesi deamicisiana: «a casa non c’erano libri e dunque, in questo senso, sono nata poverissima. Mio padre, Vito, è un agente di polizia penitenziaria in pensione. Mia madre, Antonella, è casalinga. Mia sorella Rossana nacque quando avevo sei anni. Insomma in famiglia era dura far bastare uno stipendio che non arrivava a 1.800 euro». La scuola divenne così «il nascondiglio del mio disagio». Per cui, «Quando finiva la scuola e tutti festeggiavano, diventavo triste. Per fortuna i miei insegnanti violavano la regola e mi permettevano di prendere in prestito più di due libri per volta. Erano i classici russi, Oblomov e Anna Karenina, i francesi Flaubert e Maupassant…».

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