Cari antirazzisti, Nizza e Vienna sono colpa vostra. L’immigrazionismo ha fallito
«La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa». Il celebre aforisma di Karl Marx ci è stato ripetuto fino alla nausea. Ma nei due attentati di Nizza e Vienna questo assunto è quantomai vero. Tra il 2015 e il 2016, in piena emergenza immigrazione, abbiamo assistito a una lunga sequela di attentati terroristici: sempre Nizza, Parigi, il Bataclan, il mercatino di Natale di Berlino, Bruxelles e così via. La risposta di media e politici furono i gessetti colorati e le note di Imagine. Anche oggi, sfogliando raccolte a caso di dichiarazioni ufficiali, è sempre la solita solfa: «Attacco all’Europa e ai nostri valori», «massima solidarietà», «assoluta condanna», «la risposta non dev’essere l’odio». Come se fossimo ancora nel 2015 e tutti cadessero dal pero.
Vienna: le reazioni (patetiche) dei politici
Non ci credete? Ecco Macron: «Noi francesi condividiamo lo choc e il dolore del popolo austriaco colpito stasera da un attentato nel cuore della sua capitale, Vienna. Dopo la Francia, è un Paese amico ad essere attaccato. È la nostra Europa. I nostri nemici devono sapere con chi hanno a che fare. Non ci arrenderemo». Gli fa eco Angela Merkel: «Non dobbiamo cedere all’odio». Stessa fuffa da parte di Ursula von der Leyen: «Siamo più forti dell’odio e del terrore». Infine arriva anche il «nostro» Giuseppi: «Ferma condanna dell’attentato che questa sera ha colpito la città di Vienna. Non c’è spazio per l’odio e la violenza nella nostra casa comune europea».
La supercazzola dell’«odio»
Togliendo le parole di condanna (ci mancava pure che qualcuno esprimesse solidarietà ai terroristi), la nota dominante è sempre la stessa: non dobbiamo cedere all’odio, il terrorismo non prevarrà. Bene, si potrà pure dire che «non c’è spazio per l’odio e la violenza nella nostra casa comune europea», ma rimane il fatto che tutti gli attentatori – dal 2015 a oggi – sono immigrati che odiano profondamente l’Europa e gli europei. Di qui la logica conseguenza: fermare l’immigrazione significherebbe, tra le altre cose, impedire all’«odio» di entrarci in casa, e pertanto evitare che vi siano altre stragi e altre vittime. Il problema è che i governanti di cui sopra sono tutti fan dell’immigrazione. In passato hanno anche provato a spiegarci che «i terroristi non arrivano sui barconi» (Renzi dixit), ma la vicenda del killer di Nizza rappresenta in questo senso una sentenza tombale: il 25enne tunisino Brahim Aoussaoui era sbarcato a Lampedusa ed era pure stato ospitato sulla nave quarantena Rhapsody.
Il killer di Vienna è un figlio della «nuova Europa»
In attesa di saperne di più, anche la vicenda di Vienna è inquietante: l’attentatore, il 20enne Fejzulai Kujtim, aveva il doppio passaporto, quello austriaco e quello macedone, sua patria d’origine. Nato in Austria, era già stato arrestato nell’aprile 2019 in quanto membro di un gruppo terroristico affiliato all’Isis che voleva andare a combattere in Siria. È stato rilasciato lo scorso dicembre perché, in quanto «giovane adulto», ha potuto beneficiare di un particolare privilegio legale. «I nostri nemici devono sapere con chi hanno a che fare. Non ci arrenderemo», dice Macron. Ecco, gli aspiranti terroristi hanno esattamente a che fare con governi che consentono a questa gente di sfuggire alle maglie della giustizia e di commettere stragi di innocenti.
Il fallimento dell’immigrazionismo
Il caso del killer di Vienna, peraltro, ricorda quello di Salah Abdeslam, il macellaio del Bataclan. Anche lui «nuovo europeo» e tutt’altro che «emarginato». Insomma, la storia si è ripetuta, ma i governanti europei non hanno né cambiato idea sulla società multirazziale, né hanno approntato alcuna contromisura per evitare stragi del genere. Verrebbe quasi da dire che se lo sono meritato, se non ci fossero di mezzo altre vittime innocenti. Che poi altro non sono che le vittime dell’immigrazionismo globalista, i cui nomi saranno presto archiviati in qualche schedario polveroso di questo inferno che hanno avuto l’impudenza di chiamare «Europa».
Valerio Benedetti